“AAA, svolta politica disperatamente cercasi”. Dicono che qualche esponente del Pd vorrebbe esporre un cartello simile sul portone della sede di Largo del Nazareno. “Se non cambia qualcosa andremo a sbattere”, mormorano dal telefonino da sotto gli ombrelloni. Ma quello che dovrebbe imprimere una sterzata alla politica dei democratici, cioè il segretario Matteo Renzi, al momento pare proprio non sentirci.
Le variabili in campo sono molte, e intersecate fra di loro. Il rischio, invece, è uno solo: arrivare terzi alle elezioni, dietro gli odiati grillini, ma soprattutto dietro un redivivo centrodestra che, a detta dei più, alla fine saprà trovare una qualche forma di unità (magari posticcia), e non ripeterà l’errore di un anno fa a Roma, quando le corse separate di Giorgia Meloni e Alfio Marchini regalarono la capitale a Virginia Raggi.
La prima sfida della ripresa di settembre sarà la stesura della legge di bilancio. Il discreto andamento dell’economia eviterà il rischio di doversi intestare una manovra “lacrime e sangue” alla vigilia del voto. Ma Gentiloni ha detto chiaro dal podio del Meeting di Rimini che le risorse sono pochissime e che non intende distribuirle a pioggia. La priorità sarà creare posti di lavoro per i giovani, ma anche qui le buone intenzioni del governo sono già state bocciate — sempre a Rimini — sia dalla Confindustria, sia dal sindacato, per una volta uniti nel giudicare del tutto insufficienti i due miliardi di euro che Poletti e Calenda immaginano possano essere messi sul tavolo degli incentivi per gli under 29.
Il nodo della legge di bilancio si intreccia con il ruolo di Paolo Gentiloni. Nei suoi confronti Renzi è parso più volte ondeggiare dal sostegno pieno alla presa di distanza. L’ultimo episodio è stato a inizio agosto, nel momento del varo del codice di condotta per i salvataggi in mare, che ha messo l’un contro l’altro i ministri Minniti e Delrio (renziano de fero). Una diatriba risolta dalla spada del Quirinale, gettata sul piatto di Gentiloni e Minniti alla moda di Brenno. Renzi, a questo punto, potrebbe non avere interesse a vedere rafforzarsi la figura dell’attuale premier. Potrebbe avere interesse a indebolirlo, con una tattica di logoramento, così da eliminare un potenziale concorrente a guidare la fase del post-elezione.
Se l’intenzione del leader Pd è questa, non farà fatica ad attuarla. E’ facile infatti prevedere che gli assalti alla diligenza arriveranno da tutte le parti: da Mdp che minaccia di non votare la manovra se non sarà di proprio gradimento, ma anche da Alternativa Popolare, che potrebbe usare la medesima forma di pressione se non verrà accontentata nelle sue richieste di provvedimenti per la famiglia e soprattutto di inserire le coalizioni nella legge elettorale.
Quest’ultima è un’altra partita aperta, su cui Renzi resta chiuso in un dubbio amletico: aprire o non aprire alle coalizioni, questo è il problema. Dentro il Pd c’è chi lo spinge in questa direzione per recuperare Pisapia e Bersani, qualcun altro per andare verso Alfano. L’unica certezza è che il Pd senza alcun alleato è condannato alla sconfitta. Dentro il partito il più critico sembra essere diventato Dario Franceschini, sinora puntello del leader. E questo allontanamento potrebbe anche trasformarsi in una vera e propria rottura: l’uscita dal Pd a inizio agosto dello storico portavoce del ministro della Cultura, il deputato Piero Martino, sembra un chiaro segnale di burrasca. Franceschini si trova di fatto oggi in linea con la minoranza di Andrea Orlando, e questo potrebbe fare aumentare il desiderio di una resa dei conti a novembre, specie se le regionali siciliane dovessero trasformarsi in una disfatta.
C’è però un argomento che rischia di intersecare e influenzare tutti gli altri, ed è quello della gestione dei migranti. E che sia un terreno scivoloso lo dimostra la tirata d’orecchi che il cardinal Parolin ha riservato al governo dopo lo sgombero forzato di Roma. E dal momento che si tratterà di uno dei temi caldi della prossima campagna elettorale, nessuno che aspiri al voto cattolico (o almeno alla non belligeranza delle gerarchie) potrà cedere a tentazioni populiste, o a soluzioni sbrigative. Anche su questo Renzi ha più volte ondeggiato fra accoglienza e risposte simil Salvini. In più, sono numerosi i casi di sindaci Pd che ostacolano l’arrivo dei migranti nel proprio territorio.
Renzi dovrà decidere anche su questo da che parte stare. Perseverando con il cerchiobottismo nell’illusione di acchiappare voti da ogni parte l’unica certezza è una sconfitta rovinosa e definitiva.