È la regola di sempre: in politica, come in fisica, il vuoto viene occupato. Infatti è stata l’estate delle assenze; tranne per una presenza discreta, ma proprio per questo tanto più importante di cui diremo.

Destra e sinistra a due mesi dal voto in Sicilia non hanno ancora scelto i loro candidati, né si sa se si alleeranno o meno. In questo senso il danno per la sinistra in teoria è minimo, visto che il suo leader Matteo Renzi si dava già per sconfitto da mesi.



Per la destra il danno è molto maggiore, poiché invece Forza Italia appariva rinata alle ultime amministrative e invece ora appare spiaggiata come dal caldo e dalla mancanze di idee. Il suo coordinatore regionale, forse co-autore del successo recente, era a San Benedetto del Tronto a parlare astutamente di terremoti, mentre una scossa faceva crollare Ischia, e non a Palermo o a Catania. Qui nessuno per ora è riuscito a dirimere la lotta dei veti incrociati.



In questo quadro i M5s scivolano verso una vittoria in Sicilia per mancanza di competenza degli altri. Di per sé questi sono giorni amari per i pentastellati. Di Maio, con fare da scugnizzo, aveva strizzato l’occhio agli abusivismi edili (l’ormai noto “abusivismo di necessità”), che avrebbero potuto portare voti in Sicilia. Ma il tremito di Ischia, che ha fatto crollare appunto costruzioni abusive, si è portato via questa linea di condotta. Nel frattempo i 5 stelle hanno una manciata di sindaci che pare abbiano fatto peggio dei loro colleghi, a riprova che i disastri romani non sono eccezione ma regola, e attendono di essere vinti. Ci vuole qualcuno che li voglia vincere, però.



Questo qualcuno non è in Sicilia, ma in Italia, e si chiama Marco Minniti.

È difficile dosare il ritmo tra presenza e assenza, e soprattutto è difficile fare parlare i fatti. Minniti sembra ci stia riuscendo. È il “signore delle spie”, come lo ha ribattezzato la stampa britannica. Nell’epiteto c’era prima una punta di malizia poi gli si è cucito addosso come un complimento. Supplente del ministro degli Esteri e anche del premier, ha alla sua cintura due scalpi enormi.

Il primo, quello contingente, è di avere fermato l’ondata di profughi e/o criminali dalla Libia. Su queste pagine qualcuno ha proposto una tripartizione dell’ex stato. La tripartizione, pubblicamente almeno, non è avvenuta, Minniti ha compiuto il miracolo e l’ondata è stata fermata. Ora con il brutto tempo in arrivo si può pensare che il problema sia stato rinviato come minimo di un anno, cioè a maggio prossimo, quando il mare ritornerà calmo e si potrà approfittarne per la traversata. Sarà dopo le elezioni e con il prossimo governo.

Il secondo, di lungo termine, dipende dal fatto che Minniti, con le mani in pasta nei servizi da molti anni, può lasciarsi lodare per la fortuna dell’Italia, non toccata dagli attentati terroristici che punteggiano mensilmente il resto dell’Europa.

La situazione è apparentemente contradditoria. L’economia è crollata, la politica è in un loop confusionale, le aziende fuggono. In queste condizioni il paese dovrebbe essere terreno di conquista di ogni banda votata al terrore, invece è in pace, più di altri che pure hanno condizioni economiche e sociali migliori. Non sarà tutto merito di Minniti, ma certo il signore delle spie vi avrà contribuito e per questo è guardato con rispetto in Europa e oltre atlantico. Forse non a caso, nei giorni scorsi il Foglio scriveva che l’Europa aveva delegato all’Italia la sua sicurezza. Quindi a Minniti. Ergo, Minniti è l’unico politico italiano con un ruolo internazionale.

Alle sue doti di gestioni l’uomo pare associare doti politiche. Nato dalemiano doc, all’ultimo congresso ha guidato la pattuglia che ha re-incoronato Renzi, sottolineando però che il leader è importante ma non è tutto, anche il partito è importante in egual misura. Non fa dichiarazioni, non corre in tv, come il premier Gentiloni, ma più di Gentiloni appare fattivo, concreto. Ha rapporti con tutti, è gradito a destra, come uomo d’ordine, e forse potrebbe funzionare come uomo di unità, dote che il saggio Romano Prodi individua come requisito per il leader del paese. Non conosciamo Minniti, non lo abbiamo mai incontrato, ma sulla carta forse potrebbe funzionare anche meglio di Mario Draghi, che l’anno prossimo andrà via dalla Bce e potrebbe essere un candidato alla guida del paese.

Per Draghi c’è il rischio “Mario Monti”. L’ex premier avrebbe dovuto salvare il paese e invece si è fatto incartare dalla politica, smettendo di essere tecnico ma senza riuscire a fare politica. Minniti è un politico diventato tecnico sul lavoro, in questo senso avrebbe meno rischi.

Naturalmente da qui alla primavera prossima, nella spietata e infinita campagna elettorale italiana, c’è tempo per far correre ogni tipo di cavallo, per distruggere ogni successo di Minniti e costruire le glorie di chiunque altro. Ma certo dopo il silenzio di Gentiloni, cura di disintossicazione degli eccessi di annuncite renziana, ritorna la vecchia questione della politica: bisogna fare, portare risultati. E Minniti è l’unico che per ora sta facendo parlare i fatti.