Questa legislatura, se vuole chiudere preoccupandosi del Paese e della tenuta del quadro politico-istituzionale della prossima legislatura, ha l’obbligo di dare al Paese una legge elettorale decente, in linea con la previsione costituzionale di garantire al meglio l’esercizio della sovranità popolare nelle forme e nei limiti previsti dalla Carta. Carta che a questo fine chiede che sia garantita la governabilità (tendenzialmente favorita da un sistema maggioritario) e la rappresentatività (tendenzialmente favorita da un sistema proporzionale). Una buona legge elettorale dovrebbe bilanciare queste due esigenze, per ridare credibilità a una politica in crisi.
Allo stato dell’arte rischiamo una nuova legislatura dove non avremo né governabilità, né rappresentatività
Già col tedeschellum, fortunatamente bocciato in Parlamento, la prospettiva era sostanzialmente questa. Col tedeschellum stavamo per avere una legge elettorale che non garantiva né l’una né l’altra. Non garantiva governabilità, perché — in un contesto dove non si intravede una governabilità in uscita dalle urne, e neppure da un successivo passaggio parlamentare, salvo intese paradossali tra forze politiche alternative con l’ausilio di un robusto apporto di trasformismi — non prevedeva alcuna correzione maggioritaria. Non garantiva rappresentatività perché con la soglia del 5% questa legge elettorale proporzionale mirava a tener fuori dal parlamento di fatto il 20% almeno di chi si sarebbe recato alle urne, a favore di quattro forze politiche: Pd, 5 stelle, FI, Lega.
In sostanza, tra astenuti ed esclusi per il non raggiungimento della soglia del 5%, avremmo avuto un parlamento “rappresentativo” del 45%-50% degli italiani, e se una rappresentanza così determinata fosse stata capace di esprimere un governo con la metà più uno degli eletti, avremo avuto un governo espressione del 25% degli italiani. In sostanza il punto di caduta dell’Italicum, senza neanche la correzione maggioritaria che lì avrebbe consentito anche a un solo partito di intestarsi questo 25% di base di consenso al governo. Insomma il tedeschellum era legge fatta per mettere il sistema politico, cioè la sovranità, nelle mani dei leader di quattro forze politiche: Pd, FI, Lega, 5Stelle.
Un quadro che non cambierebbe molto se sia andasse alle urne con la furbata di profittare della bocciatura del tedeschellum (forse autoaffondato dai suoi principali estensori, per evitare il peggio su punti più rilevanti della legge) per riproporre lo stesso tentativo con qualche aggiustamento — con decreto — del consultellum, la legge elettorale di risulta uscita dalla sentenza della Corte.
Si tornano a leggere in vista della ripresa di settembre autorevoli preoccupazioni sulla tenuta della prossima legislatura se le cose resteranno così come sono. Con ricette di soluzione che in alcuni casi convincono poco, tutto puntando sul mito di una governabilità costruita a tavolino tramite una forte spinta maggioritaria della legge elettorale volta a costruire nelle urne la democrazia (qualcuno potrebbe temere la “democratura”) del leader, che gli italiani hanno bocciato il 4 dicembre. Un modo come un altro per non capire che proprio questo approccio espropriativo degli orientamenti e del ruolo dell’elettorato nella scelta sostanziale di chi li deve rappresentare e governare ha contribuito alla crisi che viviamo della politica, che è inutile che millanti che se la si lascia fare da sola, con la minima partecipazione dei cittadini, darà quelle risposte che fin qui non ha dato.
Allora che fare? E’ presto detto: rispettare le indicazioni del 4 dicembre, dove gli italiani hanno votato a favore del mantenimento della democrazia parlamentare per determinare la governabilità (i governi si fanno in parlamento, e non la sera stessa delle urne) e del suo correlato spessore rappresentativo (gli eletti li scelgono gli elettori). Si può fare.
Ci vuole una legge elettorale che non pretenda di imbragare in un maggioritario forzoso un quadro politico proporzionale, e quindi l’impianto può essere solo proporzionale senza tentare di escludere dalla rappresentanza quote consistenti di elettorato. Cioè qualsiasi correzione maggioritaria e qualsiasi soglia di accesso devono avere una ragionevole proporzionalità, se ci si vuole ricorrere. E per scegliere gli eletti, volendo evitare i rischi delle preferenze (che se ci dovessero essere dovrebbero essere per tutti, capilista inclusi), si deve ricorrere ai collegi uninominali ripartiti su un collegio unico nazionale in base alla percentuale raggiunta. Il che significa che chiunque, anche un ministro e un ex premier può perdere il suo collegio, cioè può essere bocciato nelle urne, se nel suo partito altri hanno fatto meglio di lui in altri collegi. È il minimo sindacale perché i leader politici e le loro cerchie non si eleggano da soli mettendosi nelle liste a danno dei loro peones e soprattutto a scorno dei cittadini. Negli ultimi anni non hanno fatto granché per meritare questa franchigia.
In teoria è piuttosto semplice. In pratica, a questa ragionevolezza democratica si oppongono leadership politiche (Pd, Forza Italia, Lega, 5 stelle) che vogliono determinare a priori la composizione per la loro parte del prossimo parlamento, costruendo liste a somiglianza del leader al comando (Renzi, Berlusconi, Salvini, Grillo). E qui il consultellum torna utilissimo. Che sia utile al Paese e alla qualità della politica che dovrebbe governarlo è altamente dubbio.