Caro direttore,
le chiedo ospitalità dopo aver letto su L’Economia del Corriere della Sera di oggi (ieri, ndr) l’articolo di Dario Di Vico sulla Compagnia delle opere. Premetto che sono stato direttore generale dell’associazione sotto la presidenza del professor Giorgio Vittadini, oltre a essere stato tra i fondatori, e poi presidente per diversi anni, della Cdo di Brescia.
Rilevo il fatto che si continua a raccontare della Cdo con una lettura sommaria e non corrispondente alla sua vera storia. La mia esperienza, come quella di tanti altri, è stata improntata ad una grande passione ideale e al desiderio di coinvolgere tutti i soggetti che interpretavano al meglio il principio di sussidiarietà come risposta agli estremismi dello statalismo e del liberalismo spinto. Questo perché abbiamo amato il nostro paese, erede di culture diverse, ma capaci di un bene superiore e quindi utili al bene di tutti. I nostri tentativi li definivamo “ironici” perché consapevoli di rappresentare una goccia nell’oceano e con scarsi strumenti a disposizione.
Evidentemente i nostri principi ideali e la nostra azione positiva hanno toccato esigenze diffuse e così abbiamo avuto una risposta che è andata al di là di ogni nostra aspettativa. A Brescia, mai sfiorata da alcuno scandalo (visto che sempre lì ormai si vuole andare a parare, resistente patologia del nostro paese), gli incontri della Cdo facevano sempre il pieno, e le assemblee annuali segnavano la vita economica e civile dell’intera provincia e anche dei territori limitrofi di Mantova e Cremona. Fatti sempre riportati con grande risalto dalla stampa locale e quindi verificabili.
Perciò nessun collateralismo e nessun appiattimento su una parte politica. Si dialogava con tutti, e non certamente in vista di qualche inciucio. Ci furono anche contrasti veri, ma sempre con il desiderio di cercare soluzioni più appropriate per il nostro territorio e per le nostre comunità. Posso testimoniare che la stessa cosa accadeva in tante altre parti d’Italia.
Trovo comunque interessante la provocazione di Di Vico di essere un collante per riaggregare un mondo associativo che necessita di un riposizionamento generale. Lo dico perché già in quegli anni avevamo iniziato un percorso con alcune realtà associative, legate ai mondi delle piccole e medie imprese (Api) e dell’artigiano, ma evidentemente i tempi non erano maturi. Ad esempio nel consiglio direttivo della Cdo di Brescia già sedevano gli ultimi due presidenti dell’Api locale, una delle più importanti d’Italia. Iniziative comuni erano quindi già state avviate prefigurando la necessità di un cambiamento che oggi è sotto gli occhi di tutti.