Fine dei giochi sulla legge elettorale. Secondo il capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato, la legge di bilancio “è l’ultimo provvedimento significativo che il Parlamento deve approvare”. Un preciso messaggio di Renzi rivolto a Berlusconi ma soprattutto alla sua minoranza interna, dice Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità e commentatore politico. 



Caldarola, che significato ha la dichiarazione di Rosato?

Significa fine dei giochi sulla legge elettorale. Renzi intende andare a votare con questa legge anche se Camera e Senato saranno eletti in forme diverse. 

Un presa di posizione che rinuncia ad ogni trattativa. Perché?

Per due ragioni. La prima, per non rischiare di ritrovarsi con una legge elettorale che induce alle coalizioni. Renzi non le vuole. La seconda, Renzi si è reso conto che non c’è il clima di fiducia necessario per fare una legge elettorale condivisa. e allora ha chiuso la partita.



Anche all’interno del Pd.

Certamente. Rosato manda un messaggio chiaro alla minoranza interna: la ricreazione è finita, il giorno del giudizio sta per arrivare.

Il giorno del giudizio su chi entrerà in Parlamento e chi no. Ma in questo modo Renzi non accelera la crisi del Pd?

Accelera la trasformazione del Pd in una cosa renziana, il PdR, che può garantire un diritto di tribuna ad alcuni personaggi, alle minoranze meno recalcitranti. E’ il trattamento riservato ad Orfini e Martina: se vi comportate come piace a me, avete un ruolo, altrimenti accomodatevi alla porta.

Cosa faranno Orlando e Franceschini?



Renzi può premiare alcuni suoi oppositori, ma non tutti. Non solo sceglierà quanti orlandiani e quanti cuperliani candidare; questo vien da sé. Ma potrebbe anche scegliere tra Cuperlo e Orlando. Idem per Franceschini e i suoi. Nei prossimi due mesi Renzi andrà in giro con la mazza ferrata in mano.

In tal caso però gli esclusi saprebbero bene dove andare.

Questa svolta politica segna anche la fine dell’illusione di Renzi di accalappiare Pisapia, di convincerlo che sarà lui il leader a cui il segretario del Pd offre il diritto di tribuna. Pisapia oggi rappresenta anche il mondo prodiano, distinto dal Pd ma aperto ad un rapporto con i dem in chiave di coalizione. Dopo la mossa di Renzi però i prodiani si trovano costretti o a ritirarsi o ad appoggiare più nettamente Pisapia.

Insomma Renzi facilita le cose all’altra sinistra.

In pratica sì. Se i prodiani — Zampa, Monaco, Parisi, lo stesso Prodi — danno il segnale che il Pd non è più ospitale, possono aumentare l’attrattiva di Pisapia, incoraggiando coloro che nel Pd temono la punizione renziana a partecipare all’operazione.

Un cenno agli ultimi sviluppi di politica estera. Il vicepremier del consiglio presidenziale libico, Fathi Al-Mejbari, chiede all’Italia “di cessare immediatamente la violazione della sovranità libica”. Eppure le nostre due navi sono in Libia su richiesta di Serraj. Abbiamo fatto bene i nostri calcoli?

No, li abbiamo sbagliati. Abbiamo dimenticato due cose. La prima è che un incidente militare fra noi e una autorità libica provocherebbe o la nostra umiliazione, o l’ingresso in campo della Nato a nostro favore. Un azzardo tremendo, in cui abbiamo moltissimo da perdere. 

E la seconda?

La seconda è che un paese ex coloniale può impegnarsi dove vuole, dall’Iraq all’Afghanistan, tranne che nella sua vecchia sponda. La ferita inferta dall’Italia alla Libia è tale che in nessun momento la Libia potrà chiamare l’Italia a sparare in casa propria. Il governo che lo facesse perderebbe il suo consenso nel paese. Ma c’è un terzo errore. 

Quale?

Abbiamo avuto la presunzione di credere che l’Europa avrebbe condiviso e appoggiato la nostra decisione. Per ora questo non è avvenuto.

Come mai secondo lei Gentiloni avrebbe preso questa cantonata?

Non è opera sua. Vi vedo piuttosto un peccato di presunzione che può essere di Renzi o di Minniti. Un pizzico di tradizionale prudenza avrebbe suggerito la mossa di qualsiasi ministro democristiano: evitare a tutti i costi di rimanere in mezzo a una sterpaglia con il cerino in mano.

Cosa pensa dell’intervista di Napolitano a Repubblica in cui l’ex presidente declina ogni responsabilità nella discesa in campo dell’Italia?

Ho letto la ricostruzione fatta da Renato Schifani. All’Opera di Roma, quel 17 marzo 2011 — racconta Schifani — Napolitano convocò tutti in una stanzetta, tra il primo e il secondo atto. C’erano Berlusconi, lo stesso Schifani, La Russa, Gianni Letta, Bruno Archi e Paolo Bonaiuti. Chiamarono Frattini a New York, il quale disse che Sarkozy intendeva mettere l’Italia di fronte al fatto compiuto: l’indomani sarebbero decollati i caccia. Tutti rimasero interdetti. A quel punto Napolitano disse testualmente: “l’Italia non può rimanere fuori”. Non mi risulta che Schifani sia stato smentito.

(Federico Ferraù)