Diventa ogni giorno sempre più difficile comprendere quale sia l’ultimo avvenimento che caratterizza la vita interna del Partito democratico di Matteo Renzi. Complice un clima rovente, il segretario salta dalla “Versiliana”, gioiello di Marina di Pietrasanta, a Mondello, la spiaggia più famosa di Palermo, per presentare il suo libro, Avanti, che non sembra ispirato all’antico quotidiano del Psi e neppure al corrispettivo “Vorwarts” dei socialdemocratici tedeschi. Il libro di Matteo Renzi “Avanti” è probabilmente una libera traduzione, piuttosto allusiva, della via politica trasversale, “né di destra né di sinistra” di “En marche” di Emmanuel Macron, il presidente francese che in questo momento non gode di grande popolarità in Italia, sia per la questione Fincantieri, sia per la complicata vicenda libica legata al grande problema dei migranti.



Nelle complicazioni confuse delle vicende politiche italiane, Renzi offre l’impressione di un crescente nervosismo e di una reale difficoltà a tenere insieme un partito (e anche un governo) che deve affrontare prove quasi decisive alla ripresa del 12 settembre, termine delle feste parlamentari. Se n’è andato, ad esempio, l’ex portavoce di Dario Franceschini, Piero Martino. Ha raggiunto la “logora sponda” di sinistra di Pier Luigi Bersani, con una dichiarazione piuttosto concitata: “Basta, me ne vado, nel Pd l’aria è irrespirabile”. C’è chi sostiene che ha voluto raggiungere la bella e “carissima amica” Elisa Simoni, che è, tra l’altro, cugina di Renzi. Ma a parte voci di gossip e questioni familiari, c’è chi ritiene l’uscita di Martino uno dei tentativi di stabilire “nuovi ponti” in un centrosinistra sempre più logorato e diviso.



Il peso specifico di Dario Franceschini, più che politico, è soprattutto quello di “cassiere di voti e tessere” all’interno del Pd, quindi con un apparente potere di convinzione rilevante in un momento in cui il partito è in difficoltà per i debiti e ha il suo personale quasi al completo in cassa integrazione. Ma a ben vedere, tutto questo, dall’ipotetico gioco di Franceschini e del suo ex portavoce, sino alle difficoltà amministrative del Pd, si trasforma in dettagli rispetto al quadro complessivo politico nazionale.

In poco più di un anno, Matteo Renzi si è giocato una partita in tre atti che ha di fatto clamorosamente perso. Ha perduto alle amministrative di un anno fa; ha straperduto al referendum del 4 dicembre (il clou della sconfitta); ha riperso alle ultime amministrative. Tre sconfitte brucianti, mescolate a tentativi, abbastanza goffi e rabbiosi di rivincita, che se sono riusciti nel partito (in modo abborracciato, con primarie e senza dibattito) a fargli riconquistare la segreteria, ma sono naufragati nelle rincorsa per un secondo mandato a palazzo Chigi.



Adesso Matteo Renzi sta aspettando un autunno problematico che da climatico può trasformarsi in autunno politico. Guardiamo un attimo le scadenze che aspettano il segretario del Pd. Poco dopo il 20 settembre si deve decidere per l’assetto societario dei cantieri di Saint Nazaire, dove i ministri Padoan e Calenda non brillano per simpatia nei confronti di Macron e a volte sembrano stonati rispetto alle dichiarazioni di Renzi, cioè del leader del partito baricentro del governo. Forse è possibile trovare una soluzione, ma occorrerà fare attenzione agli “strascichi” francesi e a quelli europei.

Poi ci sono le incognite della partita libica, dove solo l’impegno del ministro Minniti resta la carta più credibile di una questione che è stata lasciata marcire e che alla fine ha creato un clima di polemiche, vecchie e nuove, che sembrano incomprensibili a un’opinione pubblica sconcertata. Dopo i problemi transalpini e mediterranei, Renzi ha gli appuntamenti italiani ugualmente complicati. Non esiste ancora una legge elettorale e, si dice ormai da mesi, che in una settimana si dovrebbe risolvere tutto. Ma non si vede l’ora che questa settimana arrivi! Perché altrimenti, maggioranze possibili nel Parlamento italiano non se ne vedono, tanto meno a sinistra, dove, in più, il cosiddetto “carattere” del segretario del Pd serve solo ad alimentare il radicato spirito massimalista e settario di una sinistra che, come ai tempi di Amendola e Craxi, è sempre “lunare”, secondo l’antica concezione ingraiana del “Volevo la luna” e non verrà mai a patti con il “rottamatore” fiorentino e non particolarmente attento ai passaggi della politica italiana.

Di fatto, Renzi può restare intrappolato da diverse varianti, tutte possibili sulla carta, e imboccare veramente il viale del tramonto, con relativa svolta autunnale. Se i segnali di ripresa economica restano sempre così incerti, nonostante qualche accenno di esultanza da parte di ambienti interessati, che dopo dieci anni devono pure rincuorare un poco di fronte alla catastrofe causata, c’è da credere che un Gentiloni realista e apparentemente dimesso sarà preferito a uno scalpitante Renzi, non solo sino alla fine della legislatura, ma anche dopo il risultato delle politiche di primavera. Ma, al momento, “primavera è un miraggio”, perché è il surriscaldato dibattito nella sinistra, che non si unisce o che potrebbe essere al massimo battezzata da un “Pisapia unitario” a mettere Renzi in difficoltà.

In sostanza, se si guarda in controluce il gioco che si sta svolgendo tra i frammenti della sinistra e all’interno dello stesso Pd, l’unità a sinistra è una carta che diversi personaggi giocheranno, per limitare o addirittura liquidare la segreteria di Matteo Renzi, non solo la sua nuova scalata verso Palazzo Chigi.

Infine, a novembre (e chissà in quali condizioni ci arriveremo) c’è una nuova durissima prova elettorale: le regionali siciliane. Quello diventa un banco di prova decisivo. Si parla di un astensionismo crescente, di un Movimento 5 Stelle in difficoltà e sempre meno convincente, di un centrodestra in recupero anche se frammentato in tre partiti. Poi c’è il grande trasformismo dei perenni “cambia casacche” di questa cosiddetta “nuova repubblica”. Una sconfitta, nel Pd a Renzi non la perdonerebbero. E il suo autunno politico a sinistra sarebbe segnato, in tutti i sensi e forse per tutti gli incarichi.

C’è qualcuno che ipotizza che potrebbe giocare la carta di un suo partito. Ma l’impresa in queste condizioni sarebbe molto difficile, un rischio quasi impossibile.