E’ pura interlocuzione la telefonata di ricucitura tra Pisapia e Speranza, dopo che l’abbraccio troppo esibito alla Boschi e la dichiarazione dell’ex sindaco di sentirsi a casa propria alle feste del Pd (una dichiarazione peggiore dell’abbraccio per chi quella casa ha dovuto lasciare, dopo anni di umiliazioni politiche) aveva fatto saltare l’incontro che doveva tenersi dopo il battesimo di Insieme a Piazza Santi Apostoli il 1 luglio. Un modo di prendere tempo, perché nessuno può permettersi tra Pisapia e Mdp di rompere a cuor leggero il progetto di un soggetto politico non residuale a sinistra del Pd; in attesa di affrontare a settembre i nodi politici sottesi alla riluttanza di Pisapia di posizionarsi sulla scena politica, da qui alle politiche, in polemica con Renzi.
Una riluttanza incomprensibile, giustificata in modo barbino con la necessità del Pd di un centrosinistra di governo per la prossima legislatura. Perché se questa necessità c’è, come c’è, è però legata proprio alla non centralità di Renzi in questo scenario. Un orecchio da cui Renzi non vuol proprio sentire, e davvero non si comprende come Pisapia non capisca che in questa fase gli occhi dolci al Pd, la nostalgia canaglia di stare di nuovo insieme, rafforza proprio la renitenza di Renzi a favorire un’aggregazione larga nel centrosinistra che non sia imperniata sulla sua autocandidatura ad un ritorno a Palazzo Chigi.
E’ piuttosto complicato immaginare che questo approccio friendly con il Pd rafforzi la dissidenza interna aperta o latente legata a Orlando e Franceschini, o piuttosto non aiuti Renzi a tenerli a bada in attesa di marginalizzarli nella composizione delle liste, quando saranno costretti ad accettare un diritto di tribuna o ad uscire sotto il bombardamento infamante di essersene andati perché volevano mantenere il seggio in Parlamento.
Se Pisapia vuole davvero mettere in difficoltà Renzi, non per antipatia personale, ma perché ci siano le condizioni di una riaggregazione larga a sinistra, la cosa che deve fare è sostenere che non è questo Pd, a guida renziana, che può permettere un’aggregazione competitiva con le destre e i grillini. Una banalità di cui è difficile capire come Pisapia non si renda conto, nonostante i tentativi più o meno pazienti di spiegargliela da parte di Bersani, Speranza, D’Alema.
Il punto per altro è che è di tutta evidenza la non espansività elettorale del Pd in questa fase, anzi; e che solo una forte affermazione elettorale del soggetto di cui Pisapia dovrebbe essere il leader, almeno a due cifre, consentirebbe al centrosinistra di poter guardare a Palazzo Chigi, o almeno di condizionare ogni soluzione di governo nella prossima legislatura. Senza che ci sia a sinistra qualcuno che vada a riprendersi le “milionate” di voti perse dal Pd a guida renziana lamentate da Bersani, un Pd che anche si portasse dietro un recuperato Pisapia non raggiungerebbe alcuna centralità ai fini della governabilità della prossima legislatura, arriverebbe buon terzo dopo il centrodestra e i 5 Stelle, e al più ribadirebbe la presa di Renzi sul Pd come partito personale in attesa di tempi migliori.
Non si capisce perché Bersani, Speranza, D’Alema, Rossi, dovrebbero secondare una china politica di questo genere, e non si capisce perché Pisapia non comprenda che tutti gli ex Pd citati parlano sì per il loro bene, ma prima ancora per il suo, sempre che Pisapia si senta un leader alternativo e non cooperativo in funzione gregaria alla leadership di Renzi.
A meno che Pisapia non pensi che l’autunno, la finanziaria, le regionali siciliane porteranno Renzi ai margini nel Pd e lui sarà lì pronto a raccogliere l’invocazione unitaria nel centrosinistra della sua leadership, narrata per mesi come alternativa a Renzi sì, ma con dolcezza. Ma se questa è la convinzione di Pisapia, non ha capito niente di Renzi e del renzismo, della sua priorità di sopravvivere a tutti costi, fossero pure quelli di sotterrare il Pd e le ambizioni con cui era nato.