Enrico Cuccia, anche se molto credente e religioso, aveva fama di essere un poco superstizioso. Se fosse stato ancora vivo nell’agosto del 2007, quando è scoppiata la grande crisi finanziaria e avesse letto i commenti dei “grandi economisti” e opinionisti italiani, avrebbe fatto i debiti scongiuri in silenzio, oppure confidandoli a qualche carissimo amico.



Fosse ancora vivo oggi, dopo aver letto il fondo del Corriere della Sera di ieri, del duo Giavazzi&Alesina, la “coppia più bella del mondo”, che ha consegnato alla storia con un libro la favola che Il liberismo è di sinistra, ripeterebbe di nuovo gli scongiuri e si rifugerebbe nella casa di Meina sul Lago Maggiore, a meditare sulle sventure culturali e umane italiane.



Vediamo di inquadrare questi liberi pensieri sul carattere di un (purtroppo) immaginario Cuccia rinato. Ieri appunto quello che fu un grande giornale ha riproposto un fondo dell’accoppiata Giavazzi&Alesina dal titolo epicamente storico “Tre lezioni a dieci anni dalla crisi”, dove si spiegava che, se nel 1929 cominciò la “grande depressione”, oggi noi viviamo la “grande recessione”. Differenza “fondamentale” per i milioni di disoccupati che ancora ci sono e che toccarono i 30 milioni in Occidente nel 2008. E soprattutto per i nuovi poveri che ci sono e per le differenze sociali, irripetibili nella storia, che la crisi del 2007 ha provocato.



I due fenomeni riconoscono oggi che fu importante dopo il 1929 l’intuizione di John Maynard Keynes, ma che oggi non andrebbe più bene. Ma riconoscere solo un’intuizione keynesiana, da parte di questi due sapienti, deve aver fatto tremare la tomba di John Maynard, gli ambienti di Cambridge e anche i luoghi dell’antico circolo di Bloomsbury, dove Keynes incontrava le sorelle Woolf e altri intellettuali dell’epoca.

Noi scommetteremmo che Cuccia farebbe scongiuri epici, perché sia Giavazzi che Alesina riconoscono dieci anni di crisi, mentre nel 2007 parlavano di un paio di mesi. Questi profeti all’incontrario o piuttosto capitani di sciagura che hanno contribuito ad allineare l’Italia al grande gioco del neoliberismo, potrebbero portarci veramente, in modo involontario s’intende,  alla paventata “recessione secolare”.

Poiché l’Italia è notoriamente un Paese affetto dal morbo di Alzheimer, vediamo di andare con ordine e con ricordi precisi. Ecco Francesco Giavazzi, il 4 agosto del 2007, che sul Corriere spiega: “La crisi del mercato ipotecario americano è seria, da qualche settimana ha colpito anche le Borse, ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata”. Spiega anche che il tutto si risolverà in un paio di mesi. Un autentico mago al contrario.

Ed ecco Alberto Alesina che si esibisce sul Sole 24 Ore del 27 settembre 2007: “Finora non è accaduto nulla di catastrofico, né a mio parere accadrà. E’ straordinariamente difficile prevedere quali saranno le conseguenze sulla crescita dell’instabilità dei mercati iniziata in agosto. Nessuno sa bene che cosa succederà nei prossimi mesi. Quasi sicuramente nulla di disastroso”. Un mago al cubo, ma sempre al contrario.

Su Repubblica arrivano invece due noti “geni”, lo scalpitante Tito Boeri e Luigi Guiso che il 22 agosto 2008 sentenziano con sicurezza: “In questa crisi c’è da aver paura della paura (riferimento rooseveltiano da supermarket culturale, ndr): aspettative irrazionali possono scatenare spinte ribassiste che fanno avverare le profezie più pessimistiche… Non gettiamo oggi, come tante volte in passato, i semi della crisi futura con una reazione eccessiva alla crisi corrente”.

Chiude in bellezza, si fa per dire, l’illustre professor Giacomo Vaciago su Repubblica del 29 febbraio 2008: “Io non sono pessimista come Roubini, né per gli Usa, ne per l’Europa e tanto meno per l’Italia. Grazie al dollaro debole, come sempre fanno gli Stati Uniti stanno esportando un po’ dei loro problemi. Per questo la loro recessione non sarà così grave”. Più o meno un “sapiente” di San Siro-Galoppo, che diceva: “Dottore alla sesta giochi Fandango, non può perdere”. Robe da risse da bar.

Questa compagnia di giro, che Paul Krugman ha definito “la notte degli Alesina viventi”, ha influenzato le scelte di politica economica (che quasi non esiste più tanto è relegata a ideologia) sia in Italia che in Europa, alimentando un neoliberismo d’accatto, tra il pensiero di Friedrich von Hayek (l’antikeynesiano più rigido della storia economica) e quello di Milton Friedman, il chicaghese monetarista, che fu consigliere economico speciale di un noto democratico come il dittatore cileno Augusto Pinochet.

Certo erano i tempi della “lady di ferro”, Margaret Thatcher, e dell’attore Ronald Reagan alla Casa Bianca, che avevano riscoperto l’uomo a una dimensione, quello “oeconomicus” e che soprattutto “la società non esiste”.

Impossibile frenare l’espansione del neoliberismo di massa. Hyman Philip Minsky riscriveva Keynes e l’instabilità del capitalismo, prevedeva una crisi devastante per il 2008 (incredibile!) sin dalla metà degli anni Ottanta, quando qualsiasi cieco comprendeva che, a  partire proprio da quegli anni, l’ammontare degli attivi generati dal sistema finanziario stava superando il valore del Pil dell’intero pianeta. Da allora la corsa della finanza al profitto è diventata così veloce da quintuplicare per massa di attivo l’economia reale nel giro di un trentennio. Il fatto che l’ammontare dei prodotti finanziari immessi sul mercato superi adesso e da tempo di gran lunga la produzione dell’economia reale è un paradosso che alla fine non può reggere.

Mentre il neoliberismo furoreggiava per il mondo, in Italia ci fu dapprima una tenue resistenza. Poi, ironia della sorte o avversa fortuna (vedete voi), all’inizio degli anni Novanta in Italia si avverò una sequenza infernale: crollo di una classe dirigente (quella democratica del pentapartito) per gravi irregolarità sul finanziamento pubblico ai partiti, un reato che era stato prescritto o condonato nel 1989, quando riguardava anche altri partiti come l’ormai defunto Pci. 

Poi lo Stato diventava sinonimo, soprattutto in economia, di lampanti ladronerie e collusioni con il potere politico e su sollecitazione di banche d’affari anglosassoni (qualche maligno dice anche dell’Fbi) si diede il via a una corsa impressionante di privatizzazioni, si smantellò di fatto l’economia mista italiana e la si trasformò radicalmente, accettando nello stesso tempo le nuove holding bancarie, senza più la distinzione tra banche commerciali e banche d’investimento e allo stesso tempo accettando la cancellazione delle norme restrittive sul controllo dei derivati, dando così via libera al commercio di prodotti fuori Borsa e al proliferare, anche in Italia come in tutto il mondo, dello shadow banking, cioè della finanza ombra.

Una classe politica imbelle, dopo il mitico ’92 e i deliri sulla “seconda repubblica”, sul nuovismo da abbracciare, accetta di sottoscrivere derivati per entrare nell’euro con il “primo gruppo”.

Domanda di riserva. Ma non c’erano in Italia i cattolici di sinistra, i cattocomunisti, e il partito comunista più grande del mondo libero?

E’ vero, ma c’è chi afferma che piuttosto di diventare autentici riformisti, hanno preferito diventare neoliberisti o quasi. Forse un po’ di più dei loro nuovi “compagni pasticcioni”, come i socialdemocratici europei. E così qualche ripensamento arriva solo adesso, a dieci anni dalla crisi e del periodo che l’accoppiata Giavazzi&Alesina definisce l’epoca della “grande recessione”.

Complimenti vivissimi per la rapidità di comprensione.