Come si ricorderà, nel febbraio scorso la Corte costituzionale ha dichiarato, con la sentenza n. 35 del 2017, la parziale illegittimità costituzionale della legge n. 52 del 2015, il cosiddetto Italicum.
Commentando a caldo la decisione, si ebbe modo di sottolineare in particolare l’invito contenuto nella parte finale della sentenza, secondo cui “la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”.
In sostanza, le forze politiche avrebbero dovuto pervenire, possibilmente in maniera rapida, a una omogeneizzazione dei sistemi elettorali per i due rami del Parlamento, avendo principalmente di mira il corretto funzionamento della forma di governo delineata dalla Costituzione, privilegiando formule in grado di restituire adeguatamente la volontà del corpo elettorale, e coniugando questo che è un valore costituzionale con i legittimi obiettivi della stabilità dei governi e della rapidità dei processi decisionali, ma senza sovvertire l’ordine dei fattori.
A chi si domandasse a che punto siamo bisognerebbe innanzitutto ricordare il tentativo compiuto prima dell’estate, quando alcune delle principali forze politiche (Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord) erano parse concordare su un modello, cosiddetto “tedesco”, salvo però deliberare quasi subito il rinvio del testo in Commissione, dopo che l’aula della Camera ne aveva approvate solo poche disposizioni, a seguito dell’approvazione di alcuni emendamenti relativi a profili tutto sommato non centrali (l’elezione dei deputati nella circoscrizione del Trentino Alto Adige/Sudtirol), ma ai quali venne attribuita, almeno da taluni, grande importanza, in quanto sintomatici di ripensamenti più profondi da parte di alcune delle forze che si erano riconosciute in quella proposta.
Che si trattasse più di ragioni di tipo tecnico o di reali divergenze politiche e di merito non era, in effetti, del tutto chiaro, come emergeva dal seguito, certamente non nuovo, di reciproche accuse tra le forze politiche, più intente a rinfacciarsi la responsabilità dell’accaduto che a esplicitare il modello di legge elettorale (realmente) desiderato.
Per avere qualche elemento di valutazione ulteriore è così stato necessario attendere la ripresa dei lavori parlamentari, in particolare della commissione Affari costituzionali, convocata allo scopo per il 6 e il 7 settembre.
Affrontare, dall’esterno, la lettura dei resoconti delle due sedute è esercizio certamente istruttivo. Ne emerge, infatti, uno spaccato dello “stato dell’arte”, che qualche considerazione consente di fare. Volendone indicare alcune, si possono segnalare le seguenti.
In primo luogo, non pare esservi molta chiarezza sui vincoli prodotti con riguardo al lavoro della Commissione dall’avvenuta approvazione di una parte del testo da parte dell’Assemblea (il presidente della Commissione parla di una prassi con valenza costituzionale che impedisce di intervenire in alcun modo su quelle parti, mentre il relatore del provvedimento si chiede se con la volontà dei gruppi si possa sopperire a tale vincolo).
All’interno del Partito democratico, poi, sembra esservi una dialettica non del tutto composta tra i vari esponenti (dopo gli interventi del relatore, Fiano, e del deputato Lauricella, entrambi del Pd, il deputato Giorgetti chiede quale sia la posizione del Gruppo e in particolare se quella di Lauricella sia o meno una posizione espressa a titolo personale: interviene così Fiano, che “fa notare che l’intervento del deputato Lauricella è stato svolto a titolo personale”; segue l’intervento di Lauricella, che precisa “di non essere intervenuto a titolo personale” …).
Sempre dai resoconti si ricava, infine, come siano proseguite, nel confronto in Commissione, le schermaglie tra i gruppi parlamentari, con reciproche accuse di aver cambiato posizione rispetto al modello di giugno, di volerlo o di non volerlo nuovamente assumere come testo base della discussione, di condizionarne il sostegno all’introduzione di correttivi o all’approvazione di altri provvedimenti attualmente in discussione (è il caso del progetto di legge sui vitalizi).
Una sintesi delle diverse posizioni e sensibilità dei vari gruppi, e forse anche dei differenti “filtri” attraverso i quali ciascuno di essi guarda alla discussione sulla legge elettorale, sembra al riguardo emergere nelle battute finali. Il relatore Fiano osserva che dal dibattito sono emerse posizioni diverse, per cui non è certo diminuita per lui la complessità di predisporre il testo base, ritenendo pertanto necessario un supplemento di riflessione, con l’acquisizione di una valutazione politica da parte del suo gruppo. Anticipa che chiederà pertanto il rinvio della decisione sul calendario dei lavori della Commissione. A ciò replica il deputato Sisto (FI-Pdl), il quale reputa la richiesta “una reazione anomala rispetto all’andamento del dibattito”, che ha fatto emergere una piena disponibilità al dialogo da parte dei gruppi, auspicando dunque che il gruppo del Partito democratico possa rivedere la propria posizione.
La conseguenza, al momento, è stata il rinvio del seguito dell’esame ad altra seduta, da definire.