Le entrate a gamba tesa dei pubblici ministeri sulla politica solo a distanza di molti anni si dimostrano inconsistenti e strumentali. Quei pochi che osano denunciarlo nel momento dello scandalo collettivo sono considerati complici o, se gli va bene, pazzi. Quando arrivano le sentenze, spesso di assoluzione, solo alcuni ricordano le ipotesi accusatorie e le conseguenze umane, economiche e politiche a cui condussero le accuse e la loro spettacolarizzazione mediatica. E nessuno ricorda i posti di lavoro persi, specie in realtà, come il Mezzogiorno, che tornano puntualmente ad essere drammatiche dal punto di vista occupazionale. Né, tantomeno, il costo, a spese della collettività, di diversi milioni di euro per inchieste aventi spesso solo finalità politiche o di carriera dei magistrati che le conducono.



Pochi giorni dopo il (mezzo) pentimento di Antonio Di Pietro riguardo Tangentopoli, quando ha ammesso di aver costruito il proprio consenso politico sulla paura delle manette, è arrivata l’assoluzione, nel merito e indipendentemente dalla prescrizione, per l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella e per la moglie Sandra Lonardo, prima ristretta ai domiciliari e poi “esiliata” dalla Campania mentre ricopriva, nel 2008, la carica istituzionale di presidente del consiglio regionale, su richiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere.



Un’inchiesta, quella sui coniugi Mastella, che servì a dare il colpo di grazia al governo guidato da Romano Prodi, già fortemente minato qualche mese prima, era il luglio 2007, dall’inchiesta Why Not, condotta dal pm di Catanzaro Luigi de Magistris, dove lo stesso Prodi fu indagato, insieme al suo delfino Sandro Gozi, all’epoca parlamentare ed oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli affari europei.

Tra de Magistris, oggi sindaco sotto il Vesuvio, e la procura di S. Maria Capua Vetere una sorta di Tangentopoli 2, in salsa campana, anche se nei due casi non si parlò mai, in senso stretto, di tangenti, ma solo di favoritismi in favore di lavoratori precari in un caso e di presunte pressioni ad Antonio Bassolino per favorire la nomina di un direttore generale di una Asl, nell’altro.



Del caso di Antonio Saladino e di Why Not, assolto nel merito per molte delle ipotesi di reato e con la prescrizione sancita dalla Cassazione per il solo reato associativo (prescrizione non certo cercata dall’indagato che infatti in primo grado optò per il rito abbreviato ma, piuttosto, per un rimpallarsi del giudizio nei vari passaggi tra la suprema corte e la Corte d’Appello) ilsussidiario.net si è più volte occupato. Saladino, insieme ad alcuni magistrati, è stato processato anche a Salerno, sede competente sui magistrati del distretto di Catanzaro, con la pesante accusa di corruzione giudiziaria; processo nato dalle lunghe “conversazioni” di de Magistris con una pm della città campana, ovviamente verbalizzate, in cui denunciava le presunte malefatte dei suoi colleghi calabresi e che si è risolto con una netta assoluzione per tutti, con la motivazione che “il fatto non sussiste”.

Dopo l’iscrizione, a luglio 2007, nel registro degli indagati di Romano Prodi a Catanzaro, tempestivamente svelata da alcuni organi di stampa, fu proprio Mastella, da ministro della Giustizia, a mandare gli ispettori nella procura della città calabrese: un atto quasi ovvio quello che il Guardasigilli invii gli ispettori per un’inchiesta che riguarda il capo del Governo in carica, non per intimidire il magistrato né per “lesa maestà” ma per ipotesi di reato evidentemente fantasiose e con la notizia che arriva nelle redazioni e non all’indagato. La conseguenza fu che lo stesso Mastella, appena passato ferragosto, finì anche lui indagato da de Magistris nella stessa inchiesta con innocue intercettazioni telefoniche tra il ministro e Saladino, impavidamente trasmesse in audio da Annozero condotta dal duo Michele Santoro-Sandro Ruotolo, giusto per restare in tema di napoletanità.

Romano Prodi non ha mai commentato le due vicende. Mastella, nel giorno della sua recente sentenza di assoluzione ha affermato che per Prodi “è comodo dire che cadde per colpa mia. Ma se fosse sincero dovrebbe dire che ci fu una strategia per fotterlo portata avanti da Veltroni”.

Mastella ha anche aggiunto: “Non furono i giudici ma i servizi a farmi fuori. Nessuno dei miei colleghi ministri mi mostrò solidarietà, tanti mi trattarono come un ‘nipotino di Belzebù'”.

Servizi segreti che in qualche modo furono di scena anche nell’inchiesta Why Not, dove ci furono evidentemente indagini incrociate di varie forze di polizia e dove finirono negli atti i nomi di generali come Nicolò Pollari, ex capo del Sismi già processato e assolto per il caso Abu Omar ed alti ufficiali dei servizi e della Guardia di Finanza. Indagini per le quali finirono sotto processo de Magistris e il poliziotto, in distacco sindacale e consulente di varie procure, Gioacchino Genchi. De Magistris e Genchi furono condannati in primo grado per l’acquisizione dei tabulati telefonici di diversi parlamentari, tra cui Sandro Gozi, Romano Prodi, Clemente Mastella, Antonio Gentile, Domenico (Marco) Minniti e Francesco Rutelli, con la prescrizione sancita in appello. Tabulati spesso travasati da un’inchiesta all’altra, anche di diverse Procure: erano tutti nel server palermitano di Genchi.

Mastella quando parla di servizi segreti si riferisce anche a questo?