LEGGE ELETTORALE. Tornano le coalizioni. E’ questo l’elemento più saliente del nuovo testo base di legge elettorale, una seconda edizione del Rosatellum, depositato ieri in Commissione Affari costituzionali dal relatore Emanuele Fiano (Pd). In sintesi: 36 per cento di collegi uninominali, 64 per cento di seggi assegnati con il proporzionale; soglia di sbarramento del 3 per cento per le singole liste e del 10 per cento per le coalizioni. Niente premio di maggioranza e niente voto disgiunto: non ci saranno due schede come nel Mattarellum, ma una scheda sola, nella quale l’elettore può barrare il candidato uninominale (e in questo caso non c’è voto per il partito) oppure solo il partito (in tal caso il voto va sia al candidato di collegio sia al partito per la parte proporzionale. Barrando il simbolo del partito, non essendoci le preferenze, risulterà eletto il candidato al collegio e il capolista del listino predisposto dal partito, un listino corto di 2-4 nomi al massimo, dunque “riconoscibili”, come ha chiesto la Corte costituzionale nel 2014. Viene comunque da dire: altro che libertà di scelta dell’elettore. Intanto, i partiti si dividono: Berlusconi appare interessato alla proposta del Pd, Ap ci sta, a Salvini va bene tutto purché si voti. Contro invece si schierano M5s (“un inciucio”) e Mdp, che chiede le preferenze (e Bersani che taccia il Rosatellum 2.0 di “orgasmo per il trasformismo”). Lo scenario di Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2.



Il Rosatellum 2.0 può già contare sull’appoggio di alcuni partiti. Ci sono le premesse per un accordo politico?

Il tentativo è abbastanza serio e risponde a un pressing molto forte del Quirinale, che chiede da tempo una normativa organica

Serve una legge elettorale che tenga insieme rappresentatività e governabilità. Il testo depositato risponde a questi requisiti?



Difficile giudicare oggi. Se il metro di paragone è l’accordo saltato a giugno, probabilmente il nuovo testo segna un passo avanti, perché la parte di seggi assegnata con il maggioritario in qualche modo va ad agire contro la frammentazione, delineando al tempo stesso un equilibrio più favorevole alla formazione di un governo stabile. 

Il nuovo testo del Pd incontra per ora l’interesse di Forza Italia, Lega e Ap. M5s e Mdp invece sono contrari. Questo cosa significa?

Vuol dire che il passaggio in Parlamento non sarà indolore e che la maggioranza che sostiene la legge è numericamente meno robusta di quella dell’accordo saltato l’8 giugno. Ap non ha gli stessi numeri di M5s. Non c’è da stare tranquilli, anche perché su alcuni punti non si possono escludere emendamenti da votare a scrutinio segreto. 



Sulla carta però i numeri dovrebbero esserci.

Sì, perché si va nella direzione che il Quirinale chiedeva: una legge con una base elettorale più ampia della coalizione che sostiene l’esecutivo. 

Se il Rosatellum diventa legge, come cambia l’offerta politica?

Tornano le coalizioni, che sono utili a destra, ma lo stesso effetto potrebbe esserci a sinistra, dove si potrebbe aprire un tavolo di trattativa tra il Pd e ciò che sta alla sua sinistra. 

Oggi sembra impossibile.

Tanto è vero che Mdp è contrarissima. Di fatto però la legge costringerebbe a fare almeno un tentativo che vada da Alfano a Pisapia. E dall’altra parte costringerà Meloni e Salvini a sedersi al tavolo con Berlusconi.

I 5 Stelle dicono che il Rosatellum è scritto contro di loro. 

Non volendo allearsi, il loro ruolo ne esce ridimensionato. Però affinare la valutazione oggi è difficile, perché molto dipende da come verranno disegnati i collegi da attribuire con l’uninominale.

Per quale motivo?

Si potrebbe dire che quei collegi prendono il posto del premio di maggioranza. Nel maggioritario vince il primo che arriva nel collegio, gli altri restano a casa.

Nemmeno il Rosatellum sembra sfuggire ad uno dei molti peccati originali dell’Italicum: una legge fatta contro qualcuno, oggi come allora il Movimento 5 Stelle.

In effetti, qualche ragione gli M5s ce l’hanno e il meccanismo andrà a penalizzarli. Se centrodestra e centrosinistra riescono a formare coalizioni nei rispettivi campi, i grillini possono fare molta fatica nei collegi uninominali. 

Esiste la possibilità che il sistema favorisca a una coalizione a sorpresa tra M5s, Lega e FdI?

Mi pare francamente molto difficile, perché essendoci le coalizioni bisognerebbe presentarsi in quel modo agli elettori prima del voto. Ciò di cui si è discusso fino ad ieri invece era una convergenza di forze dopo le elezioni, cioè dopo che ciascuno si era contato sulla base di un sistema proporzionale sostanzialmente puro. Questo schema oggi si allontana moltissimo. Non del tutto: si potrebbe riproporre se i numeri del nuovo Parlamento fossero simili a quelli che girano oggi sulla base delle regole attualmente in vigore. 

Ci spieghi bene.

Oggi la proiezione in termini di seggi del sistema che abbiamo dice che l’unica maggioranza che supera i 315 deputati è quella costituita da M5s, Lega e FdI. In teoria con il Rosatellum bis questo non dovrebbe accadere, se dovesse accadere se ne ragionerebbe dopo, non prima, perché, come dicevo, sarebbe politicamente difficile da spendere l’idea che Salvini e Meloni rompano con Berlusconi prima del voto e convergano con M5s che non vuole altri. 

Finora abbiamo parlato della Camera. E al Senato?

Il Senato dovrebbe avere un meccanismo molto simile a quello della Camera: la ripartizione dei seggi proporzionali anziché su base nazionale avverrebbe su base regionale. Il testo sul Senato non c’è ancora, ma secondo e indiscrezioni potrebbe essere un testo fotocopia.

E se il Rosatellum bis va a monte? Che cosa succede?

A quel punto il Quirinale non potrebbe opporsi a un decreto-legge estremamente tecnico per limare i punti di maggiore frizione tra i sistemi attualmente in vigore e colmare i buchi normativi che soprattutto al Senato sono numerosi. Questioni tecniche che rendono però pressoché inapplicabile la legge attuale: per dirne una, non c’è un meccanismo per la surroga di un senatore deceduto o che che dovesse dimettersi. 

E’ anche lecito immaginare che Mattarella vorrebbe quel decreto convertito in legge dal Parlamento prima del voto. 

Sì. Questo è un punto al quale il Quirinale non intende rinunciare. Mattarella è disposto a mandare il paese alle urne solo sulla base di una legge dello Stato, non di decreto-legge che rischia di non essere convertito.

In questo caso quali sarebbero i tempi dell’operazione?

Significa avere il decreto sul tavolo a metà novembre, con due mesi di tempo per convertirlo in legge in modo da sciogliere le camere a metà gennaio 1018. Il chiaro messaggio ai parlamentari — tutti — è:  non sognatevi di portarmi il decreto il 15 gennaio.

Da chi dipende alla fine il Rosatellum bis?

Tutto si decide dentro il Pd. Se il Pd è compatto sia alla Camera che al Senato è molto probabile che la legge passi. Invece, eventuali mal di pancia interni, che magari sfociano nel voto segreto, metterebbero la legge a rischio.

E al momento questi malumori ci sono?

Al momento sembra di no, ma la strada è ancora lunga.

(Federico Ferraù)

Leggi anche

DIETRO LE QUINTE/ Legge elettorale, i calcoli dei partiti sul "nuovo" maggioritarioLEGGE ELETTORALE/ Ecco perché il proporzionale di Conte non fa bene all'ItaliaLEGGE ELETTORALE E REFERENDUM/ Un "distanziamento" politico carico di pericoli