E’ il periodo delle frasi storiche, che assomigliano molto alla scoperta dell’acqua calda. Qualche settimana fa, prima della sua “operazione libica”, il ministro dell’Interno, Marco Minniti metteva in guardia sulla tenuta democratica del nostro Paese di fronte alle gestione del problema dei migranti.
Non entriamo nel merito delle decisioni e delle iniziative prese sinora (che non ci convincono), ma non c’è dubbio che gli sbarchi e soprattutto la gestione dell’accoglienza, con un’Europa completamente assente, reticente e sostanzialmente menefreghista, stava diventando un nodo difficile da sciogliere per l’Italia. E’ problematico accettare la linea Minniti senza immaginare una tutela umanitaria, con garanzie internazionali in terra libica, dei nuovi “dannati delle terra”.
Non c’è dubbio che la questione era da tempo sul tappeto e sembrava che si cercasse di evitare di affrontarla per la sua complessità.
Ma se l’uscita di Minniti, che ha pure creato anche contrasti, era ormai inevitabile, il discorso che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha fatto ieri a Dublino in Irlanda, al Trinity College, appare quasi sconcertante per il ritardo con cui viene affermata, in tutte le sue implicazioni, una considerazione ovvia.
Che cos’ha detto Draghi? “Con una larga parte di giovani senza un ruolo definito nella società, c’è un alto rischio di vedere minata la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni, e di un impatto negativo sulle prospettive di crescita a medio termine”.
In definitiva, Draghi sostiene che la disoccupazione giovanile mette a rischio la democrazia.
Con tutto il rispetto per il presidente della Bce, per il suo programma di Quantitative easing che ha tamponato gli effetti della crisi, si può dire che è sconcertante affermare, finalmente in modo lampante e chiaro, una cosa tanto ovvia a dieci anni dall’inizio della grande recessione e ad almeno otto anni dal crollo dell’occupazione, soprattutto di quella giovanile. Un commento secco potrebbe essere solo questo: era ora!
Come si può però a questo punto lanciare nello stesso tempo segnali di ripresa economica, per alcuni dati di crescita, fragile e contraddittoria, rispetto allo stock del debito e al deficit annuo e nello stesso tempo descrivere con i numeri una tragedia epocale, che riguarda i giovani e il futuro democratico di una società?
C’è anche da pensare che questa considerazione di Draghi tocca soprattutto l’Italia più degli altri Paesi. In Italia, mediamente la disoccupazione giovanile è superiore del 15 per cento rispetto agli altri Paesi. Attestata intorno al 35 per cento a livello nazionale, registra numeri accettabili in qualche zona del Paese, ma tragici nella maggior parte del centro-sud. L’impressione è che il messaggio allarmante di Draghi, pronunciato in Irlanda, sembra indirizzato soprattutto all’Italia, alle politiche sbagliate di questi anni, dal governo di Mario Monti e di Elsa Fornero in poi, alle scelte del cosiddetto “sentiero stretto” di Pier Carlo Padoan, che è costituito da due mezze politiche, che hanno fatto galleggiare sinora l’Italia, tra politica dell’austerità e flessibilità, ma che oggi probabilmente non bastano più all’Europa dell’asse franco-tedesco e alle grandi organizzazioni finanziarie internazionali.
In questo periodo c’è un’aria avvelenata intorno all’Italia, una diffidenza e una attenzione pelosa di tanti giornali e di tanti osservatori sulla contraddittoria ripresa italiana.
Il “biscazziere” lussemburghese Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione, nel suo discorso sullo “stato dell’Unione” si è prima dimenticato di fare anche solo un cenno alla polveriera spagnola, poi ha dato qualche pacca sulla spalla all’Italia, onorandola per il suo impegno sulle grandi migrazioni. Insomma continui a farsi onore sul fronte della migrazione. E’ questo che Juncker riserva al Sud dell’Europa: onore ma non aiuto.
Intanto i padroni del biscazziere fanno progetti ben precisi. Il duro Wolfgang Schäuble, per conto della “angelica” Angela Merkel, in poche settimane ha pensato a una modifica del cosiddetto “fondo salva Stati”, a una politica economica europea comune, magari con un solo ministro delle Finanze (naturalmente designato, perché di elezioni non si parla più) e pure a decisioni dell’Unitone europea a maggioranza, cioè togliendo la possibilità, magari proprio su alcune questioni economiche, di ricorrere al veto. Intanto ci si frega le mani perché il Qe della Bce finirà abbastanza presto.
Un’autentica escalation dell’Unione europea a trazione franco-tedesca, che guarda di sbieco il Sud Europa e l’Italia in particolare. Quindi ecco che si scrive, si parla e si sottolinea negativamente il grande debito italiano, il poco rispetto dei parametri, deficit compreso. E poi si insiste continuamente sull’instabilità politica italiana.
C’ è qualcuno che preconizza un altro gioco sporco per l’Italia come nel 2011, che prima o poi sarà spiegato nei dettagli e non solo sussurrato o riassunto sbrigativamente nei libri.
Si dice che un messaggio sia già arrivato. Senza una stabilità politica vera, senza un rispetto rigoroso dei parametri, debito e deficit soprattutto, senza un’altra sventagliata di riforme di stampo liberista non ben precisata, l’Italia rischia di essere “commissariata” o eterodiretta, oppure rischia di essere collocata fuori dalla zona dell’euro forte, pensato dall’asse di ferro franco-tedesco.
E’ una prospettiva allarmante, che però bisogna tenere in considerazione e che, di fatto, è percepita un po’ ovunque anche in questa politica nostrana che sembra popolata di incompetenti cronici. Non è un caso che proprio in questi giorni, per assicurare almeno una stabilità politica accettabile e contenere l’affermazione dei pentastellati, alcune forze politiche stiano cercando di mettere insieme una legge elettorale (un’altra versione immaginifica) che consenta la formazione di una maggioranza (verosimilmente Pd con i berlusconiani di diverso tipo) per scongiurare un anno di peggiore “vacanza politica”, che prepari nuove elezioni, oppure un “governo tecnico” che da temporaneo potrebbe trasformarsi in perpetuo.
Magari con la scoperta, dopo dieci anni, che una simile crisi e una così grave recessione economica, unita a una globalizzazione (non governata) con tutti problemi che comporta, metta a rischio la democrazia.
In tutto questo c’è un miscuglio di imbroglio, di malafede, di incompetenza, che non è neppure frutto di un regista occulto, ma solo di una grande confusione mentale e di un crollo culturale di fronte alla realtà che stiamo vivendo.