Gli strateghi insegnano che quando hai in casa qualcuno che dissente, ti contesta, ti infastidisce, il modo migliore per toglierselo di torno non è bastonarlo ma premiarlo. Ti costerà qualcosa ma il lupo diventerà immediatamente agnello. Il lupo in questione è in realtà Lupi, Maurizio Lupi, da tempo insofferente all’interno di Area popolare per le scelte operate dal leader Angelino Alfano. Ieri è dunque arrivata, non del tutto a sorpresa, la nomina dell’ex ministro e attuale capogruppo alla Camera a coordinatore nazionale del partito. Ma davvero Alfano ha messo le mostrine sul petto a Lupi soltanto per addomesticarlo?



È una lettura possibile. Lupi non ha affatto apprezzato l’accordo tra Alfano e Matteo Renzi sul candidato comune in Sicilia, quel Fabrizio Micari che corre in “ticket” con Giovanni La Via, uomo del luogotenente alfaniano nell’isola che è il sottosegretario Giuseppe Castiglione. Il mal di pancia di Lupi è un’epidemia diffusa nell’ala nordica di Area popolare, particolarmente in Lombardia, non tanto per le persone quanto perché il pendolo di Alfano sposta il partito a sinistra e complica enormemente la vita ai centristi del Nord, che spesso si trovano al governo degli enti locali con il centrodestra. Le minacce di lasciare il partito hanno ripreso vigore. Il malumore verso il “quid” che si sbilancia a sinistra si è fatto sempre più palpabile. E così la scelta di Lupi si può interpretare come un contentino per l’ala nordista di Area popolare.



Ma c’è un risvolto della medaglia. Perché da vecchio democristiano (ex), il ministro degli Esteri conosce bene la politica andreottiana dei due forni. E deve preparare una “exit strategy” nel caso in cui le elezioni in Sicilia finissero male per la coalizione Pd-Ap. Perciò, nulla di meglio che piazzare Lupi al coordinamento del partito. Sarà lui ora a trattare con gli altri capi partito, compreso Matteo Salvini, uno che non vuole vedere Alfano nemmeno in fotografia ma che con Lupi parla, eccome.

La scelta di puntare sul capogruppo alla Camera, dunque, frena almeno per il momento le tensioni dei popolari lombardi e addirittura potrebbe essere anche un ponte lanciato verso quel centrodestra che si sta riorganizzando. Il raffreddamento dei rapporti tra Ap e Pd è confermato dalla chiusura che Area popolare ha imposto sullo ius soli. Lupi è sempre stato il più fermo sulla questione: era stato lui ad annunciare che non avrebbe votato il provvedimento se Paolo Gentiloni vi avesse posto la fiducia e il rinvio di ieri suona come un’archiviazione definitiva. “Evitiamo forzature per non fare un favore alla Lega”, ha detto Lupi. Giusto. Ma Ap il favore l’ha fatto a sé stessa, perché ha evitato di perdere una bella fetta di elettorato del nord. Ed è una posizione significativa perché giunge dopo l’appello del presidente dei vescovi. Lupi non cede al cardinale Gualtiero Bassetti e al suo invito a votare la legge. Se ne riparlerà nella prossima legislatura.



Ma Lupi si è espresso anche a favore del Rosatellum, cioè la bozza di legge elettorale che arriverà alla Camera il 10 ottobre e secondo colui che dà il nome al provvedimento, cioè il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato, potrebbe essere approvata entro il 15. C’è stato uno slittamento di una settimana, inizialmente si pensava a un approdo a Montecitorio per il 4, ma si è ritenuto di non forzare le cose. Il calendario comunque è fissato. E Area popolare si riavvicina a Forza Italia. “Il Rosatellum è l’ultima occasione per dare una risposta di dignità ai cittadini per una legge elettorale”, ha detto Lupi. Parole che si potrebbero sovrapporre a quelle di Silvio Berlusconi.