Caro direttore,
l’interessante intervista di Gianluigi Da Rold a Rino Formica ruota attorno a un punto centrale: la morte dei partiti e i conseguenti rischi per la democrazia parlamentare. Occorrerebbe però porsi una domanda di fondo; si è trattato di assassinio, e in tal caso chi sono gli autori, o di un suicidio? 



Personalmente ho la forte impressione che si sia trattato di suicidio assistito. La Democrazia cristiana è collassata per l’ormai troppo evidente distacco dalle sue origini ideali e dal popolo che in esse si riconosceva, essendosi trasformata in uno strumento di gestione del potere fine a se stesso, o meglio a interessi particolari predominanti su quelli generali. Il Partito comunista ha subito una più lunga agonia, con una serie di cure palliative che non hanno risolto la malattia di fondo: la sua incapacità di sopravvivere al disfacimento dell’Unione Sovietica dandosi un’identità che potesse ancora raccogliere attorno a sé quella parte di popolo che lo aveva così fedelmente, e spesso ciecamente, seguito. I magistrati di Mani pulite, e i loro mandanti, sono coloro che hanno assistito, meglio guidato, questi due suicidi.



Nel periodo successivo a Mani pulite, l’Italia ha sperimentato per la prima volta una reale alternanza di governo, che ha sostituito la cogestione del potere tra Dc e Pci che ha caratterizzato l’ultima fase della guerra fredda. Questa alternanza è stata possibile per la capacità personale di aggregazione di due personaggi, Berlusconi e Prodi, significativamente ancora sulla scena. Ma si è trattato di un’aggregazione ad excludendum che non ha costruito nulla. Lo scollamento tra politici e popolo ha portato con sé anche una progressiva disaffezione per la politica come tale.



La fase attuale sembra essere quella che potrebbe portare al definitivo accantonamento della democrazia parlamentare, come giustamente teme Formica. Non si tratterebbe però di una trasformazione secondo i canoni tradizionali, per esempio il passaggio a una forma presidenziale o semipresidenziale. Se si guarda ai “protagonisti” sulla scena, Renzi e Grillo (le virgolette derivano da un’irresistibile resistenza ad attribuire a costoro un ruolo così importante), viene piuttosto da pensare a una riedizione dell’uomo forte al comando. A meno di accontentarsi della citazione di Marx e accettare che la storia “la seconda volta si presenta come farsa”, e data la complessa e confusa situazione geopolitica in cui viviamo, sembra più corretto pensare a una programmata dissoluzione governata dal di fuori. Evidentemente per molti, compresa una parte dei nostri politici, l’Italia deve rimanere solo un’espressione geografica e viene vista come un pericolo la sua evoluzione a sistema Paese.

Credo che non bastino le analisi, per quanto acute, servono delle risposte chiare. Almeno potremmo partire dalla domanda (il colmo per me, ex democristiano) che Lenin si pose 115 anni fa: “Che fare?”.

(Dario Chiesa)