Non siamo stati colpiti da un’improvvisa crescita e da un benessere largo e diffuso. Dopo i nuovi dati dell’Istat e le stime di organismi anche internazionali, c’è stato forse un comprensibile sollievo, da parte governativa e di gran parte dei media, sottolineando che il Pil cresce da dieci trimestri consecutivi e che quest’anno può essere superiore alla previsione dell’1,1 per cento, oscillando tra l’1,2 del dato ufficiale Istat, l’1,3 dell’occhiuta Moody’s e l’1,5 di alcuni altri osservatori più ottimisti. 



Se si considera la giornata di venerdì scorso, si vede sino a oggi un oscillare continuo, tra qualche entusiasmo sopra le righe e un po’ di prudenza, con qualche contraddizione che speriamo si risolva nel miglior modo possibile.

Certo, il Pil finalmente cresce sopra l’asfittico “0 virgola”, ma non è ancora in grado di essere percepito e di incidere sull’occupazione. Sono cresciuti anche gli investimenti dello 0,8 per cento e secondo valutazioni piuttosto complicate è cresciuta anche l’occupazione, ai valori del 2008. Ma quanto vale questa valutazione in termini di contratti e di valore del lavoro è un rebus tutto da chiarire e forse da evitare di approfondire.



Detto questo, non è sparita la disoccupazione, con un valore generale ancora al di sopra del 13 per cento, che ci pone nella coda dell’Eurozona. Non è sparito, più esattamente non è sceso, il debito che, ormai come è noto e riconosciuto, è letteralmente esploso con la terapia dell’austerity europea e dei governi tecnici. Non è soprattutto sparita la disoccupazione giovanile, che lo stesso presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha definito scandalosa con quel dato superiore al 35 per cento. E la misura vera dei consumi, l’inflazione, è cresciuta solo dello 0,1.

Il premier parlava al  Forum Ambrosetti di Villa d’Este, una riunione sempre più trombonesca nonostante la prosopopea, come i supposti “grandi poteri” che la frequentano e i nuovi invitati come i fratelli De Rege (grandissimi comici italiani degli anni Trenta), rappresentati da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, autori dei discorsi più inutili del secolo appena cominciato.



In definitiva: a parte il folklore, si può affermare che c’è un momento congiunturale favorevole in quasi tutto il mondo e l’Italia coglie la coda di questo rimbalzo. Ma qualsiasi entusiasmo sarebbe fuori luogo, ridicolo e irritante. Subito si apre un dibattito piuttosto complicato: la crescita è solo un fatto congiunturale, con il Quantitative easing che ha fatto da grande traino (fu definito da Mario Draghi un “bazooka”) o è anche un fenomeno strutturale, cioè riguarda l’operato, le sedicenti riforme che sono state fatte in Italia e in Europa?

Il premier Gentiloni, tra note soddisfatte e quello “scandalosamente” relativo alla percentuale della disoccupazione giovanile, è apparso contraddittorio ma sostanzialmente misurato. Per questa ragione piace di più che il suo segretario di partito, Matteo Renzi, che deve subire contestazioni anche da un’attempata signora al Festival dell’Unità sulle banche e il loro operato. 

E’ stato misurato, ma piuttosto furbastro Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, che parla di “sentiero stretto” per la manovra (alla faccia, ci vogliono 25 miliardi anche per evitare il rialzo dell’Iva!) ma sottolinea più un merito strutturale di riforme (quali?) fatte. E come al solito ripete quello che si concorda a Bruxelles, perché sul “sentiero stretto” gli fa eco Pierre Moscovici, il commissario per gli Affari economici.

Il più schietto resta Carlo Calenda, ministro allo Sviluppo, che guarda i segnali positivi, ma aveva già detto che la crisi non è passata, quando si deve calcolare una perdita di Pil del 6 per cento rispetto al 2008.

E c’è il futuro, immediato e quello lungo, da interpretare. Qui arrivano dolenti note. L’assetto del sistema finanziario non è mutato, resta immobile, come la filosofia della banca che è stata innovata, malauguratamente, negli anni Novanta. E’ un sistema fragile, dove il peso della finanza privata è preponderante, sta al centro delle politiche economiche che riguardano il pianeta e i singoli Stati. Pensare che una simile architettura possa essere stabile è un’impresa, su cui gli economisti più accorti e i maestri che hanno studiato il capitalismo nel Novecento non sono d’accordo e ribadiscono il loro scetticismo.

Saremmo lieti di essere smentiti, ma pensare che le diseguaglianze sociali che si sono create in quest’ultimo trentennio, per demerito di questo sistema, possano essere se non ripianate, almeno rese accettabili, è una chimera che, in quanto tale,  non è credibile.

Poi ci sono scenari funesti a lungo termine, che probabilmente sono solo studi un po’ dilettanteschi. Ma per comprendere la fiducia che c’è per l’Italia basta pensare all’Ecofin, il Consiglio dell’economia e della finanza dell’Eurozona, che prevede per i prossimi cinquant’anni una crescita dell’Italia pari a meno della metà della crescita media dell’Unione europea. Un copione da brividi, che ha però un tale arco di tempo da poter essere opinabile o quanto meno corretto.

Ora, bisognerà in questo momento essere al massimo freddi e razionali, valutando esattamente, con realismo, quello che si può fare e pensando che, a parte il rimbalzo della crescita mondiale, si avvicinano scadenze importanti, come ad esempio la fine del “bazooka”, cioè lo stop al Quatitative easing della Bce di Mario Draghi, e quindi un problema di collocazione dei nostri titoli di Stato.

Ma ci vorrà pure razionalità a valutare la parte congiunturale della crescita e quella che si ritiene strutturale, perché un’ulteriore errore potrebbe essere fatale a sistemi sociali come quelli occidentali. I problemi del sistema sono ancora tutti aperti e intanto si avvicinano sinistri venti di guerra che vengono dal dittatore coreano Kim Jong-un. 

E’ un pazzo? Un bluffatore? Uno che gioca a fare il “cattivo” sapendo che gli altri non si arrischieranno mai in una operazione militare nucleare? O ancora, è “protetto” segretamente da qualcuno, che magari ufficialmente prende le distanze al momento, ma fa calcoli in previsione di una guerra commerciale lunghissima, per i prossimi decenni in tutta l’area del Pacifico ?

Un fatto è certo: i tentativi di attacco avvengono quando si sentono gli avversari deboli. E non c’è dubbio che se il rimbalzo economico attuale dovesse essere solo congiunturale, il rischio di una ricaduta sarebbe più che possibile, quasi inevitabile e anche le piccole speranze perderebbero il loro peso, che è già modesto.