L’accordo per la formazione del governo tedesco risolve un problema drammatico per la stabilità dell’Europa ma sottolinea la gravità della situazione italiana.
L’Italia, infatti, non è mai stata così in pericolo dai tempi della sua entrata nella seconda guerra mondiale, e il paese si avvia alle prossime elezioni del 4 marzo con la stessa distrazione e superficialità con cui entrò allora in quel conflitto.
Il pericolo viene da tre ordini di elementi.
Il debito italiano continua a crescere ed è già in proporzione al Pil il doppio di quello tedesco. Le pressioni interne tedesche, la crescente pressione di estremisti e neonazisti, sommata alla virtù economica tedesca e alla mancanza di virtù economica italiana, spingerà la Germania a crescenti pressioni su Roma. Di questo abbiamo parlato più volte.
Il secondo ordine di problemi è la combinazione di tre elementi: le attese nuove regole per un default controllato in Europa (che evitano fallimenti incontrollabili), più il peso ridotto dell’Italia nell’economia mondiale (non più enorme e quindi meno in grado di innescare una crisi globale) più lo spostamento di attenzione degli Usa verso l’Asia (non più verso Europa e Medio Oriente). Questi tre elementi dicono che l’Italia può essere fatta fallire, ove la mancanza di virtù italica apparisse eccessiva.
Il terzo ordine di problemi è la disintegrazione politica italiana, che può essere la miccia di tutto. È possibile che non emerga alcuna maggioranza dalle urne, e anche se ci fosse questa maggioranza essa potrebbe essere messa sotto assedio da opposizioni “incarognite” (mi si passi il termine) da una deriva populista che sembra contagiare tutti. Ciò potrebbe impedire ogni azione di governo vero, azione necessaria, per affrontare il debito.
La risposta è una sola: evitare la seconda guerra mondiale. Cioè, nel nostro caso, avere un governo che abbracci tutti i parlamentari di buona volontà, al di là della loro tessera politica, destra, sinistra o M5s, per varare le riforme che sole eviteranno il default.
Il prezzo del default, giusto per chiarirlo, è come e peggio di una guerra. La crisi finanziaria del 1997-98 in Asia ha spazzato equilibri politici di decenni, portato crisi sociali, fatto esplodere conflitti interni e ucciso moltissima gente. Una crisi in Italia potrebbe avere conseguenze altrettanto gravi o anche di più, visto che un indebolimento della struttura italiana inviterebbe un allargamento del caos dalla Libia all’Italia.
L’Italia non è tutto orrore, anzi. Essa, vista dall’esterno, ha tre punti di forza che finora non sono stati veramente messi in moto.
Uno è il sud. È un ponte verso Asia e Africa. Federico II governò l’Europa e il Mediterraneo da Palermo, oggi l’Europa potrebbe e dovrebbe fare lo stesso. Per questo serve una rete di infrastrutture costruite e gestite da paesi nord europei, anche per coinvolgerli nello sviluppo e rilancio della regione. La Cina, 30 anni fa poverissima, si è sviluppata all’inizio con le sue infrastrutture dandole in Bot (Build operate and transfer). Operatori stranieri erano chiamati a costruire, gestire per un numero di anni e poi trasferire le infrastrutture. Perché l’Italia non può fare lo stesso? Occorre essere attenti perché le infrastrutture siano fatte bene e presto, non diventino cantieri aperti in eterno per finanziare le mafie. Ma ciò non è impossibile, specie se tedeschi e francesi sono coinvolti.
Il secondo sono i comuni. Grandi o piccoli, hanno tutti un loro carattere e una loro particolarità enorme. Sono i giacimenti culturali di cui parlava 30 anni fa Gianni De Michelis. Metterli in moto, rilanciarli significa farne dei motori di crescita economica.
Il terzo motore sono gli italiani stessi. Essi sono poeti, santi, navigatori, come racconta il vecchio adagio, cioè sono imprenditori, detto in termini moderni. Gli italiani, da imprenditori saggi, poi vogliono anche la copertura di un posto fisso, che lenisca il rischio di impresa.
Per creare ricchezza e posti di lavoro non occorre pensare a interventi maieutici, ma solo a rendere possibile a ciascuno di sviluppare le proprie idee e progetti. Occorre quindi solo meno burocrazia, che significa spesso anche meno corruzione.
Visto dall’esterno queste tre misure sono praticamente a costo zero per lo stato, e mettono invece in moto una macchina colossale dentro e fuori il paese. Anzi lo sviluppo del sud può diventare il vero rocchetto attorno a cui si costruisce una unità positiva dell’Europa, non solo fatta di rigide norme e divieti.
Per tutto questo è necessaria una grande coalizione, che comprenda tutti. Senza, l’Italia rischia di essere spacciata.