Liberi e Uguali, la formazione guidata da Pietro Grasso, correrà da sola in Lombardia. Non sosterrà dunque il candidato Pd Giorgio Gori, ma un proprio candidato, il consigliere regionale uscente Onorio Rosati. La decisione è stata presa ieri nell’assemblea regionale del partito e rappresenta una chiusura netta rispetto alle posizioni di chi aveva auspicato un’alleanza, Bersani all’interno di Leu e lo stesso premier Gentiloni per il Pd. Bersani e il governatore della Toscana Rossi avevano dichiarato pubblicamente che per vincere era necessaria un’intesa con il Pd. Anche Renzi vedeva positivamente questa possibilità: “Sul nazionale non c’è accordo, ma se in Lombardia e Lazio c’è alleanza è un fatto positivo” ha commentato al proposito. Ma ieri sera la porta di una alleanza in Lombardia è stata chiusa dai delegati regionali di Leu. “Ha prevalso l’ala che fa capo a Civati — commenta Peppino Caldarola, osservatore politico ed ex direttore de l’Unità —. E’ una decisione settaria. Rispetto la decisione, ma è una decisione sbagliata perché un’alleanza politica non intacca l’identità politica di Liberi e uguali. Così, la responsabilità della sconfitta della sinistra in Lombardia ricadrà interamente sulla formazione di Grasso”.
Fino a ieri sembrava che un accordo per un voto comune a sinistra a favore di Zingaretti e Gori si potesse trovare.
Il problema è che in Liberi e uguali sul tema di accordi anche solo territoriali ci sono due correnti divise. Una parte dei maggiori leader di Leu, come appunto Bersani e Rossi, pensano che sia necessario allearsi con il Pd nel Lazio per Zingaretti e in Lombardia per Gori, qui soprattutto dopo il ritiro di Maroni. C’è invece l’ala lombarda del partito, quella di Civati e altri, che invece pensa che non bisogna fare alcun accordo. Questi secondi evidentemente hanno prevalso.
Uno scontro fra due concezioni?
Sostanzialmente tra chi si dice lontano e diverso dal Pd ma che sul territorio sia possibile fare convergenze, e un’altra invece che esalta il magnifico isolamento e rifiuta ogni dialogo.
Votare Zingaretti e votare Gori però sono due cose un po’ diverse.
Certamente votare Zingaretti significa votare uno dell’album di famiglia della sinistra. Non votarlo, soprattutto, significa rischiare di avere Gasparri presidente della Regione e dopo la Raggi sindaco di Roma…
Gori invece?
E’ vero che il voto a Gori è difficile, ma il punto è un altro. Le alleanze non sono un tema dettato dalla somiglianza fra le forze politiche ma dal compromesso. Gori e Renzi sono diversi da Rossi e D’Alema, ma è proprio questa diversità che può suggerire di cercare una alleanza.
In che senso?
Anche ai tempi della battaglia più dura fra il Pci di Berlinguer e il Psi di Craxi gli enti locali erano tenuti fuori da questo scontro. L’idea che invece vengano tenuti dentro senza distinguere, intralcia il futuro: chi ha detto che debba esserci un futuro di soli scontri e non un futuro di armistizio?
Lei avrebbe fatto un’alleanza con il Pd per votare Gori.
Gori è stato un professionista di talento, un ottimo sindaco, collabora con il presidente della Toscana sul tema dell’immigrazione. Cosa lo renderebbe impresentabile io proprio non lo so dire. Su Zingaretti l’accordo è facile, la vera partita era in Lombardia. Con il centrodestra in vantaggio a livello nazionale, una sinistra unita che vota Gori poteva giocarsi una partita importante; così sono entrambe chiuse.
Qualcuno dice che Renzi stia lavorando a spaccare Liberi e uguali per portare da lui una parte del partito. E’ così? Grasso lo permetterebbe?
Non escludo che Renzi abbia dentro tante cattiverie, ma dovrebbe occuparsi di frenare la débâcle del Pd, perché sulla lealtà di Grasso non ci sono dubbi.
Non vede possibile alcun cedimento, è così?
Grasso non ha accettato di diventare leader per conto terzi. E’ un personaggio con una storia insospettabile. Si può immaginare che Grasso essendo stato tutta la vita uomo delle istituzioni sia più favorevole al dialogo che allo scontro, ce lo dice la sua biografia. In lui il tema del dialogo è più forte dello scontro, ma finisce qui.
L’ipotesi di un’alleanza di Leu con il Pd in Lombardia e Lazio non escludeva del tutto un possibile patto nazionale. Ma adesso?
Temo che la decisione lombarda chiuda la porta a qualunque tipo di dialogo.