Il ritorno della Grosse Koalition in Germania e la visita di Emmanuel Macron a Roma hanno riaperto il dossier Europa (come lo chiamano gli eurocrati) in un modo in parte nuovo, offrendo all’Italia nella prossima legislatura occasioni che prima non c’erano o era difficile se non impossibile cogliere viste le condizioni del Paese. Uscita dalla crisi più tardi e più lentamente degli altri (Spagna compresa), l’Italia era concepita sostanzialmente come un rischio a causa non solo del debito pubblico, ma anche della scarsa crescita, della bassa produttività, dell’inefficienza diffusa e di un’ineliminabile turbolenza politica.
Alcuni di questi fattori restano e il rischio Paese è ancor oggi fotografato da un differenziale tra i tassi sui titoli pubblici (spread) non solo con la Germania com’è ovvio, ma persino con il Portogallo (sia pur minimo). Tuttavia molte cose stanno cambiando e sono cose importanti al punto da riproporre l’Italia come partner indispensabile per far ripartire l’Unione europea. La pensa così non solo Macron, ma anche Angela Merkel, tornata a essere il fulcro della politica tedesca ed europea, nonostante quel che molti hanno scritto in questi mesi perché, abbagliati dall’epifenomeno, hanno perso di vista la sostanza dell’odierna Germania.
Il presidente francese e la cancelliera tedesca stanno cominciando a costruire il nocciolo duro della nuova Europa e pensano che l’Italia debba farne parte. Macron ha in mente un triangolo con Berlino e Roma del quale Parigi sia il vertice. Non è esattamente un triangolo equilatero, il lato italiano resta senza dubbio più corto, tuttavia di esso non si può fare a meno. La Merkel pensa piuttosto a un quadrilatero con la Spagna, avrebbe preferito un pentagono aggregando la Polonia, ma Varsavia per il momento s’è chiusa in se stessa.
Ma quale spazio potrà avere l’Italia? Più di quanto si creda a condizione che il parlamento e il governo che usciranno dal voto siano in grado di cogliere l’occasione. Almeno tre sono i campi sui quali l’Italia può dare un contributo determinante. Il primo riguarda la governance dell’area euro e in particolare il ruolo e i poteri del futuro super-ministro dell’Economia; il secondo la difesa, il terzo l’immigrazione. Come ha scritto l’economista Andrea Goldstein sul Sole 24 Ore, “sappiamo cosa pensano autorevoli esponenti politici sulla tassazione del cibo per animali domestici, le attività italiane della Open Society Foundations di George Soros, il limite di spesa per il contante e le scie chimiche … a una cinquantina di giorni dal voto è legittimo auspicare che chi ambisce a dirigere il Paese trovi anche il tempo per spiegare cosa ne pensa delle proposte di Macron e come si comporterebbe al tavolo del Consiglio europeo di fronte ai nostri partner”.
La forza dell’industria manifatturiera, in particolare delle aziende che sono state in grado di integrarsi nella catena italiana del valore, dimostra le potenzialità economiche dell’Italia, una risorsa non solo per il Paese, ma per l’intera area euro. Un ministro europeo che sia fondamentalmente un guardiano dei conti pubblici, come vorrebbero i tedeschi, non è nel nostro interesse, ma non fa nemmeno gli interessi dell’intera area monetaria integrata. Ecco una carta che il futuro governo italiano dovrebbe saper giocare al tavolo europeo. Non sappiamo però come la pensano né Forza Italia, né il Pd (Lega e M5S finora hanno espresso solo posizioni demagogiche e non costruttive).
L’altra carta è senza dubbio la difesa. Oggi abbiamo un’industria con picchi di assoluta eccellenza, competitivi con la Francia e in vantaggio rispetto alla Germania. La marina italiana, ad esempio, viene considerata un punto forte e nel Mediterraneo è seconda solo alla sesta flotta americana. Dunque, nelle future forze armate europee l’Italia può avere una posizione di primo piano. Ma nemmeno su questo è dato conoscere la posizione dei principali partiti.
Molto di più si parla e si discute a proposito di immigrazione. Ma se non si vuole cavalcare un’ondata puramente xenofoba, allora bisogna entrare anche qui nel merito. La nuova coalizione tedesca parla di quote annue, Macron oscilla tra esclusivismo post-coloniale e sovranismo repubblicano, ma alla fine della fiera si colloca su una linea più rigida rispetto alla Germania e all’Italia. Resta il fatto che non esiste una politica europea comune. Il futuro governo italiano potrebbe avere una funzione trainante vista la collocazione assolutamente strategica del paese. È questo uno dei temi più scottanti sui quali si giocheranno le sorti politiche durante la campagna elettorale.
Tra proclami guerreschi e appelli alla buona volontà esiste un vasto terreno, quello di una strategia dell’accoglienza e dell’integrazione, ancora tutto da arare in Italia, figuriamoci in Europa. Difficile che in un mese e poco più di una campagna elettorale aperta all’insegna di promesse spesso strampalate e irrealizzabili, venga messa a fuoco una vera politica, cioè una serie di scelte concrete e fattibili. Eppure il tempo stringe. Il 2018 sarà un anno chiave per decidere se nascerà davvero un’Unione rafforzata, come, quando e con chi. A noi non è dato restare a guardare.