Il sorriso è smagliante, l’abito perfetto, il capello rinfoltito, la fronte liscia, i riflettori accecanti. Silvio Berlusconi seduto sulle poltrone bianche di Canale 5, davanti a Barbara D’Urso, sembra il ritratto della salute. Si gode questo ritrovato momento di gloria e si compiace del suo nuovo ruolo di vero ago della bilancia. Eppure il vecchio Cavaliere non è più lui. La battuta non è più così pronta e nemmeno la lingua sciolta come un tempo. Le spiegazioni della riforma fiscale arrancano. L’illustrazione del nuovo modulo per la denuncia dei redditi non è parente neppure alla lontana della grande teatralità che accompagnò la firma del “contratto con gli italiani” del 2001 davanti alle telecamere di Bruno Vespa.
Berlusconi è la maschera di sé stesso. E il fatto che il futuro del governo passi attraverso il suo personaggio che ritorna dal passato dà la misura di quanto sarà difficile il dopo voto. Resta il fatto che oggi il fulcro del sistema è lui. Una per una, il Cav inanella le sue rivincite. Le cancellerie europee lo incensano dopo averlo a lungo mal sopportato. La grande stampa continentale lo riabilita dopo anni di denigrazioni. Le inchieste a orologeria come quella sulla vendita del Milan nascono e muoiono in poche ore con Silvio che gongola e i magistrati che si rodono; anzi, i guai giudiziari sembrano affliggere di più il Giglio magico di Matteo Renzi. Il conflitto d’interessi, bandiera della libertà sventolata dal partito di Repubblica, ora si ritorce come un boomerang contro la sinistra radical chic viste le spregiudicate scorribande finanziarie di Carlo De Benedetti alimentate dalle soffiate renziane. La sinistra si spacca e gli alleati di centrodestra non sembrano in grado di fargli ombra. Chi scelse di abbandonarlo nella stagione della “responsabilità”, convinto che il Cav fosse sull’orlo del precipizio, o si avvia mestamente sul viale del tramonto (Angelino Alfano), oppure torna faticosamente sui propri passi: ma l’accoglienza è quella che si riserva a traditori pentiti più che a figliuoli prodighi.
In questo giro Berlusconi è il mazziere e il fatto che non possa candidarsi né ricoprire incarichi pubblici appare un dettaglio insignificante. Le grandi visioni del 1994, le promesse di una rivoluzione liberale sono affare del passato. Sopravvive lo schema di scegliersi un avversario (allora era la sinistra, ora sono i grillini addirittura più pericolosi dei compagni) e avanzare promesse mirabolanti. Siccome però il Cavaliere ha fatto scuola al punto che oggi la campagna elettorale è una gara a chi la spara più grossa, Berlusconi sembra addirittura un vecchio saggio quando, incantando la D’Urso, si limita a proporre un taglio delle tasse con aliquota unica al 23% e l’aumento delle pensioni a 1.000 euro, comprese le mamme senza contributi.
Del resto la “ricetta Trump” sembra dargli ragione: l’alleggerimento fiscale deciso dal presidente americano ha rilanciato la Borsa e indotto le grandi aziende a distribuire generose una tantum alle maestranze. Peccato che gli Stati Uniti non siano l’Italia. Da noi non è affatto detto che gli imprenditori saranno così pronti ad aumentare gli stipendi per fare ripartire i consumi e soprattutto chissà quanto tempo ci vorrebbe perché la rigidità complessiva del sistema ne venga intaccata. L’assuefazione è tale che in pochi ormai si chiedono dove si troveranno i soldi e se è davvero un bene cancellare la riforma Fornero delle pensioni. Oppure se è il caso che un campione del libero mercato e della meritocrazia proponga una misura assistenzialistica come una generalizzata integrazione al reddito.