Il voto italiano? Un “rischio politico” che incombe sull’Europa, secondo il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici. “L’Italia si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso. Quale maggioranza uscirà dal voto?” si è chiesto in conferenza stampa a Parigi il commissario socialista. Da un lato Moscovici ha ribadito la sua fiducia nella ripresa dell’Italia, dall’altro ha duramente criticato la proposta di Luigi di Maio di sfondare il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil, definita “un controsenso assoluto”, e ha ribadito il dogma dell’austerity: “ridurre il deficit significa combattere il debito e combattere il debito significa rilanciare la crescita”. Secondo Rino Formica, classe 1927, ex ministro socialista e attentissimo osservatore della situazione italiana ed europea, la Ue è scesa in campo e il messaggio di Moscovici risponde ad una strategia precisa.



Formica, come accoglie le parole di Moscovici?

Ogni cittadino europeo ha il diritto di criticare ciò che avviene in Europa. Ho una sola osservazione: lo sfondamento del 3 per cento lo aveva già richiesto Renzi. Perché Moscovici a suo tempo non ha sollevato la questione?

Nel mirino c’è M5s.

Non voglio difendere M5s, ma se Moscovici voleva accusare i 5 Stelle e salvare Renzi avrebbe dovuto parlare da socialista europeo invece che da membro della Commissione. Ma non ha fatto questo.

Non crede che alla fine il suo intervento finisca per essere un favore a Berlusconi? L’establishment europeo lo ha nuovamente sdoganato perché Renzi ha fallito.

L’operazione è più sottile. A Bruxelles vogliono ridimensionare M5s e favorire l’ipotesi di una grande coalizione post-voto. Soprattutto, ritengono che le coalizioni che entrano in campagna elettorale non saranno le stesse che ne usciranno dopo il 4 marzo. Se M5s è un fattore di instabilità, lo è anche nel centrodestra la Lega di Salvini. Attaccando Di Maio, Moscovici chiude le porte a Renzi, che aveva chiesto pure lui flessibilità, e introduce un fattore di rottura nella coalizione di centrodestra. 

In questi giorni, da Berlusconi a Grasso passando per M5s, si sono sentite tutte le promesse acchiappavoti possibili. Come vede questo inizio di campagna elettorale?

Fino a quando non saranno presentate le liste sentiremo solo parole in libertà. Dopo, invece, insieme ai candidati dovremmo intravedere qualcosa di più. Però non sono molto fiducioso.

Eppure promettere senza mantenere può costare caro, i politici dovrebbero saperlo.

Tutti i partiti fanno promesse mirabolanti perché sanno bene che nessuno avrà la maggioranza per governare. E’ come se dicessero: tanto nessuno ci potrà chiedere di onorarle, quelle promesse, perché manca la condizione principale per poterlo fare: i numeri. 

Però ogni sistema elettorale riserva sempre qualche sorpresa. E se una delle tre forze si ritrovasse con i numeri bastanti per prendere il largo?

Anche se dovesse esserci una maggioranza, questa sarà così contraddittoria al suo interno da avere le mani legate e da giustificare l’inadempienza del progetto. Vale anche per M5s, che corre da solo. E l’informazione ci mette del suo. I media accusano, ma si guardano bene dal chiedere la cosa più semplice: qualora voi — da destra a sinistra — doveste governare in una maggioranza che non è quella dei singoli blocchi, che cosa riterreste qualificante e irrinunciabile? Quale sarebbe la vostra linea del Piave? 

E secondo lei nessuno ha ancora pensato a questo?

Nessuno. E non so se lo faranno.

E l’informazione è complice del gioco.

Più che complice, è succube. Tanto, gli elettori non sono in condizione di poter interloquire. Se non con il voto, a suo tempo.

Secondo lei il centrodestra è realmente favorito come dicono le rilevazioni?

Ha un vantaggio che dopo il voto può diventare uno svantaggio. Il vantaggio è di essere la coalizione costituita da entità politiche dotate di una propria consistenza.

E lo svantaggio?

Quello di essere una sorta di fronte popolare. Tutti i fronti popolari stanno in piedi finché c’è un nemico da battere, ma dopo le elezioni tutto diventa più complicato.

Lei crede all’ipotesi che Liberi e uguali possa fare un accordo post-voto con M5s?

Leu è l’unica lista dotata di spessore politico vero perché ha il radicamento delle vecchie forze di sinistra e la rappresentanza simbolicamente forte di Grasso e Boldrini. Ma il suo ruolo non mi pare tanto quello di allearsi, quanto di fare da detonatore.

Che significa?

Che se avrà successo, potrà risultare esplosiva per i partiti che non vinceranno, scompaginandone le fila: a sinistra il Pd, e in mezzo M5s.

Lei dice che tutti fanno promesse mirabolanti perché sanno che dopo il voto non si governa. Le fanno anche perché sono consapevoli che le decisioni importanti vengono prese altrove, non crede?

Parliamoci chiaro: molto dipenderà da ciò che succede in Europa. Se a Berlino la Grosse Koalition riprende in mano la guida dell’unificazione europea, l’Italia o si adegua o sarà penalizzata. 

Qual è il suo scenario?

La Germania non lascerà alla Francia la guida dell’opinione pubblica politica europea. E’ questa la vera posta in gioco che sta alla base della grande coalizione. Quella tedesca, s’intende.

La chiama “opinione pubblica”?

In qualsiasi grande struttura composita o di ispirazione federale c’è sempre un’entità politica forte che trascina le altre. Ed è forte proprio perché animata dalla volontà di perseguire i suoi interessi.

(Federico Ferraù)