Tra gli ex-Pd — quelli confluiti in Articolo 1, poi Mdp, quindi Liberi e Uguali — Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, è stato sicuramente uno dei più agguerriti, antesignani (ma anche leali) oppositori dell’ex premier Renzi. Un fiero comunista, abile e raffinato mediatore al tempo della sua ricandidatura in Regione senza mai dismettere i panni di un anti-renziano arcigno. Eppure, da qualche tempo, qualcosa sembra essere cambiato. Le parole si sono fatte più concilianti e anche le posizioni politiche, spesso in dissenso dalla linea del suo nuovo partito (contrario a un’alleanza con i grillini e favorevole a un accordo in Lombardia sul candidato Gori), sembrano divenute improvvisamente più accomodanti tanto da “spiazzare” i molti detrattori presenti in Consiglio regionale (si ricordi che Rossi continua a governare con una maggioranza assoluta Pd).
Anche la rinuncia a correre per il Parlamento nazionale, che tutti davano per scontata proprio nel collegio di Firenze 1 dove sarà candidato (ormai quasi certamente) Renzi, ha lasciato tutti di stucco. Ma Rossi è, persino, andato oltre. Ha dichiarato, con un percepibile distacco, la volontà di fare campagna elettorale prevalentemente fuori Toscana riservandosi solo poche uscite regionali in rispetto alla sua figura istituzionale.
Un Rossi irriconoscibile che agli occhi dei più scafati “sembra non raccontarla giusta”. Ma allora cosa c’è veramente dietro il nuovo atteggiamento del governatore toscano? Forse, due semplici questioni: la presa di coscienza che nonostante le pacche sulle spalle, persino nella rossa Toscana, Liberi e Uguali stenta ad attecchire tanto che, a distanza di mesi dalla nascita di Mdp, in Consiglio regionale una sola consigliera eletta nelle liste Pd ha scelto la nuova avventura politica.
Ma dietro al “disimpegno” del filosofo Rossi sembra esserci molto altro: la constatazione dell’insussistenza del progetto di Liberi e Uguali (i molti distinguo pressoché quotidiani ne sarebbero una chiara testimonianza), del suo essere una semplice sommatoria di stucchevoli e stantii personalismi politici utile solo come tram per il ritorno in Parlamento di alcuni ex-rottamati (D’Alema, tanto per non fare nomi). Per non parlare delle contraddizioni di una linea politica ondivaga senza forza propositiva e, soprattutto, senza capacità di risvegliare nell’elettorato quell’orgoglio di sinistra di cui tutti gli scissionisti si riempiono la bocca.
Insomma, dietro l’apatia rossiana sembra leggersi chiaramente la presa di coscienza del fallimento della scissione e forse anche una sorta di preventiva presa di distanza da un eventuale (quanto possibile) flop elettorale.