Fin dalla sera del 4 marzo la “governabilità” potrebbe essere un grattacapo per Sergio Mattarella. Ovvio che il capo dello Stato stia già preparandosi a tutte le eventualità del dopo-voto. Tra queste c’è anche il cosiddetto “governo del presidente”, con in pole position l’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: è già in carica e fornirebbe la continuità e le garanzie richieste dall’Unione Europea. Della “via breve ma stretta” di Gentiloni ha scritto Folli su Repubblica e ieri perfino Massimo D’Alema sul Corriere ha avallato la prospettiva di un governo del presidente. Per Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2, è un’ipotesi legittima, ma non più di altre, perché “prima di addentrarsi in qualunque ipotesi sul premier bisognerà vedere i numeri dei seggi”. E Mattarella lo sa benissimo.



Qual è il messaggio che il Capo dello Stato vuole far arrivare alle forze politiche?

Credo che prima di tutto meriti di essere sottolineata la sincera preoccupazione di Mattarella per il discredito che verrebbe alle istituzioni da un crollo dell’affluenza alle urne. Il suo richiamo è duplice: da una parte chiede ai cittadini di non indulgere a giudizi sommari e frettolosi, dall’altra torna a chiedere ai candidati concretezza e aderenza alla realtà. E’ la logica conseguenza del discorso di fine anno, in cui sollecitava un confronto fra programmi realistici e realizzabili. 



Due requisiti che finora non si sono visti.

Diciamo che le proposte roboanti non sono viste con simpatia dalle parti del Quirinale. E diciamo anche che sin qui non è che il richiamo del Capo dello Stato abbia avuto troppo successo. Di sicuro queste parole avranno delle conseguenze nel momento in cui si dovrà interpretare il responso delle urne. 

Cosa intende dire?

Il riferimento fatto da Mattarella al suo dovere di sorvegliare sulla piena attuazione della Costituzione può essere letto anche come un richiamo alle prerogative del Capo dello Stato nella fase di costituzione del nuovo governo. 



Il commissario europeo Moscovici e Mattarella sono intervenuti a stretto giro. La preoccupazione per il voto italiano è così forte?

Purtroppo va detto che i richiami europei in piena campagna elettorale non sono nuovi, per quanto riguarda l’Italia. In ogni caso il passaggio elettorale del 4 marzo è visto con preoccupazione a Bruxelles perché siamo uno dei tre paesi fondatori. Ma l’impressione è che nei palazzi della Comunità si tema più l’ingovernabilità che una vera affermazione delle forze populiste, e che si veda in Mattarella l’unico autentico punto di riferimento. 

Ieri su Repubblica Folli ha parlato non solo di “lungo lavoro di tessitura” ma anche di “tempo per organizzare la legislatura” da parte di Mattarella. Cosa succederà secondo lei?

Si fa largo l’idea che ci vorrà tempo per stemperare gli animi e per avvicinare le posizioni, se nessuno avrà la maggioranza dei seggi in Parlamento, come al momento pare probabile. Non è uno scenario del tutto nuovo, basta fare un salto indietro di soli 5 anni, al 2013, e ricordarsi dei “saggi” chiamati da Napolitano ad avviare il percorso di revisione della Costituzione. Condivido la sensazione che non bisognerà aver fretta e che dopo le consultazioni di rito il Quirinale potrebbe inventarsi soluzioni “di decantazione”, attingendo all’armamentario del passato, i preincarichi o gli incarichi esplorativi. 

Vale anche per il cosiddetto governo del presidente?

L’idea di un governo “del presidente”, un esecutivo “balneare” stile prima repubblica, è un po’ più difficile perché qualcuno dovrebbe pur sempre votargli la fiducia, ma non si può escludere. Un dato è certo, che è fuori dal mondo pensare a un precipitoso ritorno alle urne a fine giugno: per votare l’ultima domenica, il 24, le Camere andrebbero sciolte entro il 9 maggio. Non ce lo vedo Mattarella sciogliere un parlamento insediatosi il 23 marzo, con quindi appena sei settimane di vita. Bisognerà armarsi di pazienza e sangue freddo.

Eppure un prolungamento del mandato di Gentiloni sarebbe la cosa più semplice e sicura.

Prima di addentrarsi in qualunque ipotesi sul premier, bisognerà vedere i numeri dei seggi. I voti di Pd e Forza Italia potrebbero non bastare. In quel caso, per convincere altri partiti, servirebbe un nome diverso da quello del presidente del Consiglio uscente, che ha comunque saputo sfoderare un appeal notevole. Il “governo del presidente” comunque non potrebbe limitarsi a Pd e Forza Italia. Dovrebbe essere più ampio, con un programma molto limitato, in cui magari inserire una revisione della legge elettorale. 

Ieri D’Alema sul Corriere ha detto di considerare “disastrosa e velleitaria” l’ipotesi delle larghe intese FI-Pd ma ha rivolto all’indirizzo del suo ex partito un invito, “non facciamoci del male”. E ha parlato, oltre che di “legislatura costituente”, proprio di governo del presidente. Che cos’ha in mente il regista di Leu?

Leu sembra intenzionata a giocare a tutto campo, a seconda di quali saranno i numeri. Una specie di politica dei due forni, verso il Pd o verso i 5 Stelle. Ho l’impressione che faranno il possibile per essere determinanti. E dalle parole di D’Alema traspare la speranza di poter trattare con un Pd diverso dopo il voto, magari senza l’arcinemico Renzi.