Le prime ondate della campagna elettorale non possono lasciare tranquilli. Non c’è un’ipotesi, una proposta, una promessa che vada nella direzione di sostenere la crescita dell’economia e, attraverso questa, la creazione di nuovi posti di lavoro. Una rapida carrellata da sinistra a destra. Il presidente del Senato, neo leader dei fuoriusciti dal Pd, ha lanciato l’abolizione delle tasse universitarie, ma non ha parlato di come migliorare efficienza e qualità degli atenei, soprattutto di quelli scientifici. Il segretario del Pd ha proposto l’abolizione del canone televisivo dimenticandosi di precisare come continuare a pagare un servizio pubblico che si può criticare quanto si vuole, ma che è comunque legato a una convenzione con lo Stato. I Cinque stelle continuano a rilanciare il reddito minimo garantito proponendo di finanziarlo abolendo facilitazioni e incentivi per le imprese: l’effetto positivo è tutto da verificare mentre sarebbe sicuro quello negativo con i maggiori costi per le attività economiche. La Lega ha strappato ai suoi colleghi del centrodestra la promessa che al primo posto nell’attività del nuovo governo vi sarà l’abolizione della legge Fornero: ma anche qui nessuno ha spiegato come finanziare l’onere di oltre 20 miliardi all’anno derivante dal pensionamento di migliaia di persone che cesserebbero di versare i contributi e inizierebbero a riscuotere le rendite. Un onere peraltro in progressiva crescita anno dopo anno.



Una scusante i partiti comunque ce l’hanno. Le misure per la crescita non sono né facili, né immediate, né popolari. I posti di lavoro in un’economia aperta come quella italiana si possono creare sostenendo la competitività delle imprese e soprattutto aiutando i mercati a funzionare al meglio facendo crescere la fiducia e con questa la volontà di spendere e di investire.



In un bel libro dedicato a spiegare in maniera semplice, ma senza scivolare nella banalità, i meccanismi dell’economia e dei mercati (“L’economia che serve”, ed. Giappichelli, pagg. 230) Enrico Colombatto, docente di Politica economica all’Università di Torino, sintetizza in sei “ingredienti” le condizioni per avviare e sostenere la crescita economica. Eccole: “1) tolleranza ideologica e religiosa; 2) regolamentazione contenuta (il che implica una burocrazia leggera); 3) bassa imposizione fiscale (e ridotta spesa pubblica); 4) libertà di commercio e di movimento di capitali; 5) sistema giudiziario efficace; 6) politica monetaria non inflazionistica”. E Colombatto aggiunge: “Speriamo di aver chiarito che serve ben più di un pacchetto di sussidi o di una manovra di bilancio pubblico per promuovere la crescita”.



Il problema è che non solo non c’è alcun cenno degli “ingredienti” citati nelle dichiarazioni dei partiti, ma nemmeno di sussidi e di manovre di bilancio per ridurre la spesa pubblica. Dobbiamo rassegnarci: sarà una campagna elettorale in cui si parlerà d’altro, in cui la concretezza dei problemi lascerà spazio al clamore delle illusioni, in cui proposte incredibili e inattuabili, come quelle di una valuta parallela o di mini-BoT, scivoleranno tranquillamente a rassicurare i frastornati elettori.