Sembra un copione già visto: Beppe Grillo, profeta del M5s, ha smentito la settimana scorsa il suo delfino Luigi Di Maio dicendo che M5s non si alleerà con nessuno. Solo pochi giorni prima Di Maio aveva invece detto al Fatto Quotidiano che l’M5s era pronto ad alleanze.

Affermazioni di qualcosa e il loro contrario sono ormai la consuetudine dei partiti italiani, ma il fatto che ora sia toccato anche al M5s su una cosa cruciale, l’assetto del governo, dimostra una volta di più la “normalizzazione italica” del M5s. Nulla di strano allora?



In realtà c’è molto di drammatico in questa giravolta, per il M5s, per tutti i partiti e per l’Italia. Perché? Bisogna fare un passo indietro.

La domanda fondamentale per affrontare le sfide drammatiche del paese dopo il voto, qualunque partito vinca, è: di cosa ha bisogno l’Italia nei prossimi mesi?



Però è fondamentalmente diversa la domanda che si pongono molti partiti oggi: di cosa ho bisogno per ottenere più voti?

Certo la seconda domanda è legittima, è l’essenza della politica: prima devo sopravvivere e poi potrò pensare a cosa fare. È la massima dei pratici filosofi del passato primum vivere, deinde philosophari, prima bisogna vivere e poi si può pensare alla filosofia.

Ma se la distanza tra le due domande è incolmabile (prometto la luna, per esempio, quando la luna non si può ottenere) ciò diventa una trappola per il paese e per i partiti. Se il paese non viene guidato secondo le possibilità reali (per esempio: bisogna fare sacrifici), ma secondo le esigenze dei partiti di prendere voti (prometto la luna), si crea di fatto malgoverno, visto che la luna alla fine non arriva. Cioè si ha la situazione seguente: il governo non dà (perché non potrebbe mai dare) quello che ha promesso, gli elettori si sentono traditi e sfiduciano il partito di governo.



Questo è di fatto quello che è considerato il malgoverno. E i partiti, praticamente tutti, giocano “sporco”, non pensano che bisogna promettere cose reali e rincorrono la promessa più irreale e confusionaria, perché il pensiero dominante è solo tattico: come faccio a vincere oggi sul mio vicino. Del domani poi non c’è certezza. In questo modo però il domani sarà sempre peggiore di oggi.

Il punto vero è che ci deve essere un sentire comune del bene del paese. Il bene del paese deve essere sentito dai partiti come più grande e importante del bene dei partiti, altrimenti il paese si spacca in un modo o nell’altro e va alla rovina.

Questo accadde in Cina nel 1989 durante il periodo del movimento di piazza Tiananmen. Due fazioni del partito comunista portarono all’aperto il loro scontro fino al punto di mettere a rischio il paese stesso. Dopo di allora i dirigenti si accordarono su un limite nello scontro politico interno. Tale limite finora è stato rispettato.

In Italia invece nella lotta fra partiti sembrano non esserci limiti nel promettere l’impossibile, nel dire una cosa e poi farne un’altra.

L’ultima, in ordine di tempo, ma non di gravità, è stata appunto quella di Grillo. Il suo pensiero in concreto è: noi dobbiamo dimostrare ai nostri elettori di essere l’alternativa al sistema, quindi dichiariamo di non allearci con nessuno. Ma in realtà Grillo potrà mai avere più del 40 per cento e governare da solo? E se non ci riesce farà opposizione dura e pura rischiando di far saltare tutto?

Oggi, in un momento drammatico per l’Italia, forse ogni partito dovrebbe essere disposto a mettere da parte le sue particolarità per pensare al bene comune, imponendosi un limite nella lotta politica.

Tale limite forse può iniziare da una domanda: cosa è bene per l’Italia? Non solo per la mia parte. Cioè l’M5s dovrebbe essere pronto, in linea di principio, a mediare e arrivare a un alto compromesso per il paese.

Di conseguenza è vero anche un altro elemento. Ogni partito dovrebbe essere pronto in linea di principio ad allearsi con il M5s perché pensare che l’Italia si possa rilanciare senza il M5s, senza tenere conto della rabbia dei tanti che si astengono, fa male al paese.

Le cause di questa situazione, sia chiaro, sono anche storiche. La spirale particolaristica degli ultimi anni si è innestata sulla storia di un paese spaccato per decenni perché terreno di scontro della guerra fredda. Una guerra forse figlia, a sua volta, della guerra fra fascisti e antifascisti che sembra non smettere di avere strascichi. E forse nipote della divisione millenaria dell’Italia in regioni e comuni separati.

Ma alla fine, qualunque siano i motivi, l’Italia deve trovare l’unità per il bene del paese e dei suoi stessi partiti. Da questo gioco al massacro nessuno ne esce vivo.