Pier Carlo Padoan lo aveva chiesto a gran voce, in un’intervista al Corriere della Sera, di essere candidato nelle liste Pd. Troppo sgradevole e insidiosa la prospettiva di restare un ministro tecnico in scadenza: non eletto nel 2013 e tenuto a distanza dal partito che pure ha servito al Mef per quattro lunghi anni, nei mille giorni di Renzi e poi nel governo Gentiloni in carica prevedibilmente anche oltre il 4 marzo. E poi la “questione bancaria” è tutt’altro che chiusa. Non sul piano della stabilizzazione del sistema, nonostante i salvataggi delle Popolari e del Montepaschi; né tanto meno sul piano politico, laddove la conclusione dei lavori della commissione parlamentare d’inchiesta difficilmente raffredderà la fase finale della campagna elettorale.



Matteo Renzi e il cerchio magico hanno certamente fatto attendere Padoan e non sarebbe sorprendente se il presidente Sergio Mattarella fosse stato costretto a qualche discreta pressione. Sicuramente l’offerta finale — ufficializzata ieri da Renzi — di una candidatura a Siena presenta più di uno spunto di riflessione. La città-banca dal 1472 al 2017 — quando lo Stato ha rinazionalizzato Mps — è una storica roccaforte della sinistra, anzi degli allora Pci-Pds-Ds. Ma è stata anche l’epicentro della crisi bancaria italiana: anzitutto per il costo multi-miliardario del salvataggio, che Padoan ha gestito in tutte le sedi, in Italia e in Europa. 



Renzi, per certi versi, manda il suo ministro a incassare personalmente i meriti di aver evitato al Monte sia il bail-in sia una “soluzione finale” come quella toccata alle Popolari venete in Intesa Sanpaolo. Ma Padoan è anche il ministro che ha firmato la risoluzione di Banca Etruria, che ha semi-affondato Maria Elena Boschi. E poi il Monte è rimasto un luogo off limits anche per il fiorentino Renzi. Siena, campo trincerato attorno a Rocca Salimbeni, resta un “groviglio” ormai ben poco armonioso, dove sono ancora forti le influenze storiche di personaggi come Massimo D’Alema e Giuliano Amato: i due co-fondatori di Italianeuropei, di cui Padoan è stato a lungo direttore scientifico. Ma non sono mancate, nell’ultimo decennio, infiltrazioni dal centrodestra, per la mano di Denis Verdini.



Se il nuovo Padoan “politico” dovrà convincere Siena del proprio peso di garante sul futuro del Monte, entro questa settimana Pierferdinando Casini — candidato da Renzi nella sua Bologna — dovrà tentare di chiudere il cerchio della relazione finale della commissione bancaria: traguardo che tuttavia si preannuncia difficile. Più probabile che a alla relazione “di maggioranza” sotto la diretta supervisione del presidente del partito Matteo Orfini se ne affianchino altre, forse più d’una (centrodestra e M5s). Saranno comunque testi che lastricheranno soprattutto le campagne elettorali del centrosinistra: di Renzi e della Boschi. E di Padoan.