È stato ospite alla trasmissione di Radio1 Rai “Un giorno da pecora” e il jingle che ripeteva il suo nome e cognome lo ha tramutato in una suoneria per il cellulare che chiunque può scaricare dalla sua pagina Facebook. Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, punta alla gente e lo fa nella maniera più schietta, più genuina, meno politica che si possa immaginare. Lui la politica la rifugge. Rifugge quella politica fatta di decisioni calate dall’alto, di poltrone spartite. Lui sta in mezzo alla gente, come lo è stato fin dal giorno del terremoto che ha semidistrutto la sua Amatrice. Su Facebook in molti gli scrivono che è un montato. Lui replica smorzando i toni, evitando le polemiche, coinvolgendo la gente sul fare, sul rimboccarsi le maniche. Sergio Pirozzi è un politico sui generis. Non vuole oggi, come non ha voluto nelle scorse settimane, cedere di un passo rispetto alla sua candidatura di presidente della Regione Lazio. Lui, uomo di destra, non ama le forze di centro-destra, quelle che non lo vogliono, e di conseguenza è pronto a sfidarle.
Sempre sulla sua pagina Facebook, il sistema principale che usa per confrontarsi con la grande massa, ha scritto: “Io non mi ritiro, non ci penso proprio, non credete ai fake. Noi siamo qui e lavoreremo per il Lazio e per voi”. Sembra un plurale maiestatis, ma di fatto lui sente la gente intorno a sé.
Il messaggio che Sergio Pirozzi lancia alle forze politiche e agli elettori, ma soprattutto ai cittadini, è quello di non portare rancore. “La vita — dice — ha già abbastanza difficoltà e sofferenze”. Non vuole i voti di chi usa un linguaggio volgare, dice di essere diverso dagli altri come diversi sono coloro che lo seguono. “L’odio chiama odio, il nostro futuro ha bisogno di amore”. E tra una domenica passata a guardare incontri di calcio delle serie minori del Lazio, lui che è stato allenatore del Trastevere, e incontri nelle pizzerie e nei luoghi dove si incontra la gente, quella che la mattina va a lavorare, lancia il suo slogan: “Io sono qui”. Come dire, chi mi ama mi segua.
Uomo di destra, parla di sicurezza sociale. Sicurezza sociale per lui vuol dire attenzione alle donne, vuol dire attenzione particolare agli anziani. Rilancia la tecnologia, una di quelle tecnologie che ha già utilizzato come sindaco di Amatrice per accorciare le distanze con i suoi cittadini.
Non tralascia, poi, un’altra questione importante come quella della sanità. Lunedì scorso era stato in visita all’ospedale di Colleferro. Ha parlato dei tagli e delle chiusure dei reparti operati dalla Regione Lazio, tagli per lui incomprensibili e senza senso logico. Quindi, mentre da sindaco non tollerava e riteneva drammatico che ci fossero paesi lontani oltre 30 chilometri dagli ospedali, da presidente della Regione vuole realizzare presidi ospedalieri territoriali vicini alla gente. Per lui la sanità pubblica non deve essere una vacca da mungere, sprechi e ruberie vanno combattuti e abbattuti sì, ma non sulla pelle dei cittadini e del loro diritto a curarsi.
Un pazzo che si lancia senza paracadute? Forse. Da solo sarà difficile trovare persone capaci di affiancarlo in un compito che sarà arduo per chiunque vincerà le elezioni. Ma Pirozzi ha trovato la chiave per parlare alla pancia della gente. Una sintonia con le tante lamentele di chi non crede più nella politica dei giorni nostri.
Una politica che aveva tentato di circuirlo. “Se ero degno di fare il sottosegretario alla ricostruzione, perché non sono degno di fare il presidente della Regione Lazio?”. In conferenza stampa a Roma, Pirozzi racconta di un colloquio e di una proposta avanzata dal vicepresidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani di Forza Italia: “Mi offrì la vicepresidenza della Regione o un posto in Parlamento e ho detto di no, poi un ruolo di governo, ma per quello bisogna vincere le elezioni e, una volta entrati, tutto quello che era bianco diventa nero. Qualcuno dice che non sono controllabile — ha affermato Pirozzi —, non so cosa vuol dire…”.
Pirozzi è la nuova scheggia impazzita della politica del Lazio. Da solo fa più rumore dei 5 Stelle, che nel Lazio, dopo l’esperienza del sindaco Raggi, appaiono stelle cadenti. E’ pronto a sfidare la spaccatura tra Pd e i seguaci del ministro Lorenzin, a cui non piacciono i rappresentanti di Liberi e Uguali. Non si propone come uomo di destra, quella sociale e critica, quella più dura. Lui si propone come uomo della gente, quella che con le mani nude spostava le macerie dei palazzi distrutti dal terremoto per salvare le persone rimaste sepolte. Un grande bluff? La verità forse uscirà davvero dalle urne.