“Se confrontiamo i dati dei leader con le percentuali dei loro partiti vedremo un’impressionante corrispondenza” ha spiegato a ilsussidiario.net Roberto Weber, presidente dell’istituto di sondaggi Ixè che ha appena reso noti nuovi dati. “Se Di Maio è al 30% delle preferenze, è perché così è il Movimento 5 Stelle, e se Renzi è al 21 è perché il Pd è a quella quota”. Sono i partiti personalisti, una cosa che sappiamo da anni ma che, dice Weber, non sono una novità “se pensiamo a figure come Craxi e Berlinguer: il Pci e il Psi venivano votati sulla spinta delle loro personalità”. L’unica eccezione, dice ancora, “è Emma Bonino con un impressionante 30% che porterà a una fuoriuscita di voti dal Pd stesso che ancora non si vede ma che ci sarà”.
Weber, sulla base di cosa decidono gli elettori, il leader o il partito?
Certamente il partito, però il tema è che il leader è consanguineo al partito. Se lei vede che Renzi è al 21% vuol dire che il Pd è al 21%. Non a caso Di Maio è al 30, perché i 5 Stelle sono a quella percentuale lì. Non dico che se ci fosse Gentiloni al 33% delle preferenze il Pd andrebbe a quella quota, ma c’è una corrispondenza fra i due dati. Interessante il caso di Emma Bonino con il suo 30%, cosa che fa pensare che ci sarà una fuori uscita dal Pd verso la Bonino che ancora non si vede ma che ci sarà.
Questo perché i maggiori partiti da anni sono personalisti, si basano sul carisma del leader e basta, non sui programmi o sulle scelte politiche?
Direi proprio di sì. E’ ovvio che è così, che abbiano una forte impronta personale. Del resto a essere onesti non è una novità, i leader anche negli anni 70 e anni 80, pensiamo a Craxi e Berlinguer, incidevano sul voto. La leadership in questo momento è la chiave simbolica a cui si può aggrappare l’elettore anche se sottende il partito.
Salvini è al 25%, ma la Lega secondo il suo sondaggio è all’11,9%. Come si spiega?
A proposito di Salvini va detto che sui territori dove la Lega ha una presenza forte, c’è una ricaduta di voti su di lui. L’insieme delle due cose fa sì che Salvini rappresenti un fattore di aggregazione fortissimo.
E Di Maio dove si posiziona?
Per il Movimento 5 Stelle non importa il nome del leader, avranno un voto a prescindere dal candidato. Se era Di Battista andava bene lo stesso. C’è una base solida di gente che li vota per la lista piuttosto che per il premier.
I programmi contano ancora? Quali sono i temi che spostano voti?
Al punto in cui siamo l’offerta di promesse è sovrabbondante, più che il programma conta quello che c’è stato in passato.
Cioè?
Il tema immigrazione è stato preso e gestito dal centrodestra, il centrosinistra cerca di fare inseguimento. Così il tema delle tasse è sempre stato del centrodestra. E’ singolare che sia assente da parte di tutti qualunque accenno al welfare, sanità e scuola, che testimonia che le altre due questioni hanno il sopravvento.
Quali?
Il tema principale è lo sviluppo e la ripresa del lavoro, poi subito a ruota i migranti e la sicurezza. Ma tutto è già stato detto, quello a cui assistiamo sono promesse e posizionanti interni, tutti stanno nutrendosi di quello che hanno fatto nei mesi scorsi. Se ci sarà un’accelerazione, sarà da parte di Berlusconi. Il caso dei 5 Stelle è significativo, non abbiamo sentito dire da loro alcuna posizione programmatica, perché si nutrono unicamente della spinta potente che è la rabbia degli italiani.
La stabilità di governo: gli elettori sono indifferenti o sensibili a questo tema? Dai vostri dati vediamo che non c’è nessuna maggioranza possibile.
Ma neanche una grande coalizione riesce a stare in piedi con questi dati. Per quanto riguarda gli elettori, metà degli italiani non sono interessati, lo vediamo se sommiamo i voti della Lega con quelli delle altre forze di centrodestra. L’altra metà afferma invece di essere a favore di una stabilità che sia però uno status quo.
Il tema dell’Europa?
L’insofferenza per l’Europa è alta ed è trasversale, tocca tutti i partiti. C’è un tale senso di solitudine per come l’Italia ha dovuto vivere la crisi economica e la questione immigrati, che ci sentiamo in diritto di dire che ci hanno lasciati soli. Ma questo non produce una domanda di uscita dall’Europa.