Per alcuni la notizia è stata quasi scioccante, anche se si sapevano da tempo le posizioni di condanna e di diffidenza avanzate da Alberto Bagnai sull’euro. Nato a Firenze nel 1962, Bagnai ha studiato a “La Sapienza” di Roma al Dipartimento di economia pubblica (che oggi è il Dipartimento di economia e diritto) e ha avuto maestri di prim’ordine tra cui Federico Caffè, oltre a Mario Arcelli, Giancarlo Gandolfo e Francesco Carlucci. Dal 2005, Bagnai diventa professore associato di politica economica nell’Università degli Studi di Chieti “Gabriele D’Annunzio”. Dal 2012 è ricercatore associato al Cream all’Università di Rouen in Francia e dal 2013 è membro del direttivo dell’International Network for Economic Research. Ma sempre nel 2013 costituisce l’Associazione italiana per lo Studio delle asimmetrie economiche, che attualmente presiede.



Di fronte a un tale curriculum, a tale attività, va aggiunta la posizione di Alberto Bagnai: un grande economista che rientra tra i post-keynesiani, che si ispira a una visione politica orientata a sinistra e che guarda al neoliberismo finanziario, così come è stato propagandata e praticato in questo ultimo periodo, come un pericolo, come un fattore di instabilità e come la causa di tanti guai economici che sta attraversando il nostro Paese.



Ora, la notizia appunto scioccante è il fatto che Bagnai, economista apprezzato anche da molti studiosi di sinistra (ha ricevuto gli auguri nella sua nuova avventura anche da un esponente di Liberi e uguali come  Stefano Fassina), si schieri con la Lega e si presenti a Firenze, nella sua città, per confrontarsi con Matteo Renzi. In questo modo, è come se Alberto Bagnai diventasse un doppio eretico: per le sue teorie economiche e per il suo impegno in campagna elettorale anomalo rispetto alla sua naturale collocazione. 

Diventa inevitabile la prima domanda da porre a Bagnai: ma perché ha preso adesso questa posizione, professore? Quali sono i motivi che l’hanno spinta a una simile scelta? Lei è notoriamente un economista che si riferisce a Keynes ed è sempre stato orientato a sinistra? 



“La spiegazione è che io non ho cambiato idea, ma vedo il cambiamento del Partito democratico che è diventato quasi un alfiere del liberismo. Io resto un post-keynesiano e anche uno che difende i diritti conquistati dai lavoratori in tanti anni e che ora stanno per essere perduti o sono messi seriamente in discussione. Mi sembra che il Pd abbia dimenticato completamente tutto questo e si sia spostato su posizioni piuttosto differenti. Allora, facendo un po’ di filosofia, ho pensato che, a volte, conviene mettersi tra le file di conservatori che almeno cercano e vogliono conservare qualche cosa”.

Alberto Bagnai rompe una sorta di conformismo nel mondo economico accademico nel 2012 con un libro che ha avuto un grande successo, Il tramonto dell’euro. Si può riprendere da un suo blog una delle tesi fondamentali di questo libro contro l’euro: “Una delle tesi verte sulla correlazione tra il tasso di cambio e la produttività in Italia. Con l’ingresso nell’euro, o meglio con la rivalutazione del 1996, seguita poi dalla fissazione del cambio, l’Italia ha perso competitività, riducendo così il canale della domanda estera. Ora, poiché la legge di Kaldor-Verdoorn (Smith) sostiene che la crescita della produttività è causata dalla crescita della domanda questo spiega la stagnazione della produttività dalla metà degli anni Novanta”.

Ma questo dibattito che lei ha introdotto con grande coraggio nel 2012 come continua, professor Bagnai?

“Sta andando avanti più di quanto pensassi. Il principio della convergenza verso parametri rigidi, sancito dal Trattato di Maastricht, successivamente ripreso dal patto di stabilità e crescita nel 1997, sottoscritto dai Paesi membri dell’Unione e ulteriormente ribadito nel 2012 con il Patto di bilancio europeo (fiscal compact) è incompatibile con la condivisione di un progetto politico comune e quindi di un’Europa federale, presupposto per l’effettiva sostenibilità di un’unica moneta unica europea”.

Ma chi ha voluto l’euro a tutti i costi, e perché è stato accettato in questa maniera in Italia?

“E’ complicato e difficile rispondere a una domanda simile. Posso dirle che i pericoli di una moneta alla base dell’Unione senza un assetto politico federale erano visti da tanti economisti con una certa apprensione e con la dovuta diffidenza. Erano in molti a paventare grandi difficoltà. Poi ci sono stati dei cambiamenti e degli allineamenti che mi hanno sorpreso. E non hanno sorpreso solo me”.

C’è una rigidità tra i parametri stabiliti dai trattati e in contrasto una grande libertà praticata nel neoliberismo finanziario di questi anni e in genere nelle dottrine ultraliberiste.

“Certo. E per alcuni è molto utile. E’ una  dottrina che prende il nome di ordo-liberismo. E che certamente non giova agli interessi dell’Italia”.

Che cosa pensa che accadrà dopo queste elezioni italiane? C’è chi è preoccupato già adesso per quello che può accadere tra Roma e Bruxelles.

“Ma questo è un classico di tutte le scadenze incerte e importanti. Si ricorda quello che si immaginava prima della Brexit? Non penso a sfracelli e immagino che ci sia già chi lavora per parare colpi da una parte e dall’altra, anche la possibilità di future alleanze geostrategiche. Io mi auguro solo una cosa: che si discuta finalmente con una certa tranquillità e con realismo dei problemi che riguardano l’Italia e l’Europa nel suo complesso”. 

(Gianluigi Da Rold)