La situazione è inedita. E per tanti versi grottesca. In Italia, forse per la prima volta, sulle scelte economiche non si è accesa una battaglia tra le varie fazioni politiche. Bensì tra politica, ovvero, tra i partiti al potere (come si sarebbe detto un tempo) ed il livello più alto delle istituzioni economiche nazionali: Banca d’Italia, Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di Bilancio.



Un fronte istituzionale contro la maggioranza del Parlamento. Certo, anche le manovre del Governo Renzi (tanto per ricordare solo gli ultimi casi di forte tensione tra alcune istituzioni e scelte governative) furono criticate assai duramente dalle stesse autorità economiche nazionali. Ma mai, come sta accadendo in questi giorni, era stato costituito un così cospicuo, autorevole ma anche inquietante cordone “sanitario” di “tutela nazionale” attorno alle scelte economiche di un Governo.



E mai si era verificato che in tutto ciò — in una battaglia che è politica nel senso più alto, drammatico e pregnante del termine — vi fosse un’assenza tanto marcata e sconcertante dell’opposizione.

La questione ormai non ha più solo un risvolto economico bensì investe la sfera democratica nella sua divisione di ruoli e funzioni. In ballo non c’è più e soprattutto la ragione della sostenibilità delle scelte governative. Con il passare delle ore la partita sembra prendere la piega di una battaglia tra una parte dello Stato e il Governo. Una drammatica pressione, sfociata nella riunione convocata al Quirinale, tra una parte più influente della gerarchia istituzionale e la parte maggioritaria della politica rappresentata in Parlamento e, sondata settimana dopo settimana, nel Paese.



Forse mai, in uno stesso giorno, contro le scelte di politica economica del Governo, si è registrato il parere contemporaneo e negativo di Banca d’Italia, Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di Bilancio. Un fronte che — e ciò appare ancora più singolare — non si limita ad una critica generale sul documento di aggiornamento al Def ma, anzi, interviene nel merito delle singole scelte politiche (Bankitalia contro il superamento della cosiddetta “legge Fornero”, la Corte dei Conti contro la sostenibilità di un deficit/Pil al 2,4% e l’UpB contro la previsione di crescita per il 2019 al 1,5%) da indurre il pensiero di una “regia” o quanto meno di un’azione di forte ed asfissiante accerchiamento istituzionale interno assolutamente più determinato e determinante dell’avversione europea.

Una situazione inedita nella quale niente sembra essere davvero normale, soprattutto l’assenza di un’opposizione che, oltre a non proferire parola, ha il timore di chiedere lo scioglimento delle Camere ed il ritorno al voto, come dovrebbe accadere in una democrazia semplicemente normale, per paura — assai motivata — di essere letteralmente e definitivamente spazzata via.

Come sempre tutto appare drammaticamente grave ma non serio. In fondo chiunque abbia idee, passione, coraggio di rilanciare un Paese importante ma annichilito come l’Italia non potrà che tentare di liberarsi da imposizioni comunitarie giuste in periodi di prosperità ma assolutamente frustranti in anni di crisi socio-economica. Anni per i quali a dominare e ad unire politica ed istituzioni dovrebbero essere parole d’ordine come “equità sociale” e forte “sviluppo sostenibile”.