Tutto meno che una Leopolda. Comincia domani “Piazza Grande”, l’evento romano che lancia la campagna congressuale di Nicola Zingaretti alla segreteria del Pd. Il governatore del Lazio snocciola gli errori del Pd e accusa i giallo-verdi di dare risposte sbagliate a problemi giusti. Chiede investimenti infrastrutturali, vuole l’Europa politica e critica il modello-Renzi. Ecco il suo programma.



Presidente Zingaretti, siete usciti sconfitti dalle urne e adesso preparate il congresso. Ci aiuti a capire cosa sta succedendo nel Pd.

Dobbiamo evitare due opposti rischi: il primo è quello di avere un approccio liquidazionista dell’esito elettorale: abbiamo perso, sciogliamo il partito, e dalle sue ceneri nascerà qualcos’altro. Un’idea sbagliata, troppo rischiosa: che avvenga una “resurrezione” non sta scritto da nessuna parte.



E l’altro rischio?

L’idea che basti una dura opposizione per essere un’alternativa credibile. E’ l’attesa degli errori degli altri. Lo dico da cittadino di Roma, dove chi governa commette errori da due anni, ma continuerà a farne per altrettanti.

Si direbbe che un buon inizio è quello di capire gli errori commessi. 

Dobbiamo cambiare. Vede, il vero tema non sono le affermazioni di Salvini e Di Maio e nemmeno la gravità delle scelte che stanno facendo. Dobbiamo capire perché la gente li ha votati. E perché, nonostante programmi e azioni che noi giudichiamo inquietanti e non risolutivi, anzi, proprio in virtù di questi atteggiamenti, abbiano un consenso enorme.



Perché secondo lei?

Per due motivi. Il primo riguarda il Pd. Nell’ultimo decennio abbiamo totalmente sottovalutato la crescita delle diseguaglianze, che non sono semplicemente diseguaglianze di reddito ma diseguaglianze nell’accesso ai beni comuni. Se prendiamo il grafico elettorale del Pd, 12 milioni e 500mila voti nel 2008 e 6 milioni e 300mila voti nel 2018, e sovrapponiamo ad esso il grafico con gli indici delle diseguaglianze di reddito, di accesso alla formazione e alle cure, ci accorgiamo che quasi anno dopo anno, lo sradicamento politico del centrosinistra è andato di pari passo con la percezione di allontanamento del Pd dalla gente.

A quel punto?

A quel punto la paura ha preso il sopravvento. E nel 40-50enne che vive nel precariato, e percepisce che il partito che per sua stessa ragione sociale doveva difenderlo, in realtà non lo faceva affatto, la paura s’è trasformata in rabbia.

Ma M5s e Lega avranno pure qualche ragione. Non hanno vinto soltanto grazie agli elettori traditi dal Pd.

No, infatti. Non mi vergogno a dire che la destra di Salvini e il populismo di M5s hanno proposto in maniera forte due temi. Il primo è che questa Europa non va bene. Il secondo è che la povertà e le condizioni materiali di vita delle persone richiedono, anche visivamente, uno strappo, una politica di forte discontinuità. Dunque hanno ragione? No: pongono dei problemi giusti, ma danno delle risposte sbagliate.

E qui veniamo all’Europa. Una nota dolente per il Pd, sempre diligente ai dettami e ai “compiti a casa” affibbiati dall’establishment che la governa. 

L’Europa è esistita quando ha avuto un’identità popolare: quella fatta di pace nel dopoguerra, di creazione di lavoro negli anni dell’integrazione economica, di riscatto per decine di milioni di persone al tempo dell’allargamento, e poi di moneta unica. I problemi sono arrivati negli anni 2005-2008, quando una parte della sinistra, e penso a Tony Blair, ha voluto l’Europa minima possibile al posto di quella massima necessaria.

E che cosa non va in questa Europa?

La politica economica, finanziaria e fiscale irregimentata nei vincoli di Bruxelles, e tutto il resto — il dossier sociale, compresa l’immigrazione — delegato ai singoli Stati, ma dentro quei vincoli e quelle norme. Il prodotto finale è la Ue che conosciamo. Quando la politica non dà risposte, subentra l’antipolitica.

Lei che cosa farebbe?

Noi dobbiamo rompere lo schema attuale, in cui M5s e Lega vogliono cambiare l’Europa mentre noi vogliamo conservarla. Un errore che li porterebbe al 70 per cento. Dobbiamo dire la verità: c’è chi vuole distruggerla, l’Europa, e sono loro, e chi vuole rifondarla, e siamo noi. Lega e M5s sono i responsabili di un progetto velleitario e pericoloso che mina la credibilità e la sovranità dell’Italia, perché l’Italia, come qualsiasi paese europeo, senza Europa non esiste. 

Ammetterà anche lei che qualche trattato va rivisto.

Sì. Ma al tempo stesso mi domando: perché non c’è l’Europa politica? Non c’è perché manca l’Europa democratica. Votare noi alle prossime europee deve voler dire portare la sovranità democratica ai vertici europei. E qui si aprono grandi problemi, di cui dovremmo parlare a fondo. Uno su tutti: chi vuole gli stati uniti d’Europa? L’Europa del dopoguerra ha avuto un iter lineare, poi il processo si è inceppato. Dobbiamo riprenderlo e portarlo a termine. 

Approvato il Def, l’Italia aspetta il rating di alcune grandi agenzie. Peccato che siano di proprietà di banche d’affari americane.

Anche questa situazione è figlia della debolezza della dimensione politica. Mentre gli attori che lei cita agiscono a livello globale, la politica si illude con Salvini e Di Maio di concentrare la sua forza rimanendo ferma in una dimensione nazionale. Fino ad oggi in Europa abbiamo investito su una dimensione sovranazionale della politica solo a parole. Il risultato è che siamo alla mercé di Trump, Putin e Xi Jinping. I rapporti di forza bilaterali si è sostituita al multilateralismo. Se l’Europa fosse una unione politica, Trump non potrebbe andarsene dal G7 quando gli pare. In questo la Lega e M5s sono quasi infantili, e si comportano da agenti italiani della disarticolazione nazionale e globale. A parole difendono l’Italia, nei fatti la consegnano al dollaro e al rublo. 

Il Pd al Nord non ha più voti, al Sud è stato scalzato da M5s. Cosa propone il suo Pd al posto del reddito di cittadinanza? E cosa pensate di dire all’elettorato del Nord per farvi votare?

Non è vero, nel Nord ci siamo, anche se a macchia di leopardo: il Piemonte è nostro, abbiamo il sindaco di Milano e di Brescia. Aspettiamo e vediamo. Sul reddito di cittadinanza, l’unica strada seria è il rifinanziamento o lo sviluppo di uno strumento che già c’è e che è costato due anni di lavoro, il reddito di inclusione (Rei). Se ci sono 10 miliardi da investire nel contrasto alla povertà, come minimo andrebbe fatta una verifica per vedere se il Rei funziona, per poi incrementarne il finanziamento. Altrimenti cosa facciamo, due strumenti universali per combattere la povertà? Oppure uno assorbe l’altro? Ogni alternativa è spreco di denaro pubblico e demagogia.

Basta tagliare il carico fiscale sul lavoro per creare sviluppo e occupazione al Sud?

No. L’Italia non cresce a causa della burocrazia, dell’illegalità e per l’incapacità delle classi dirigenti di investire su filiere di spesa che aumentino la competitività del sistema. Tutta le energie dei politici vanno alla spesa corrente invece che a quella in conto capitale, e il perché è facile da capire. Il vero tema, soprattutto nel Mezzogiorno, è lo spending, come spendere i soldi. Servono grandi investimenti infrastrutturali a beneficio dei territori, adesso invece abbiamo grandi risorse finanziarie che restano bloccate a causa della burocrazia. Si può disporre di 150 miliardi di investimenti pubblici programmati e non riuscire a spenderli? E’ normale che crolli un ponte e si debba fare un commissario con deroghe procedurali perché sappiamo che senza quelle, il ponte non si farebbe mai?

Quali dovrebbero essere secondo lei i temi del congresso Pd?

Il primo è come si coniugano una nuova piattaforma sociale e una crescita giusta. Il secondo è l’Europa. L’illusione di forzare la mano sulla crescita senza curarsi della redistribuzione, nella convinzione che questa avverrà naturalmente, ha prodotto sì la crescita, tranne che in Europa, perché, ricordiamocelo, il mondo sta crescendo del 4 per cento; ma al prezzo di aumentare ancor di più la diseguaglianza. Qualcuno fa notare che questi tassi di disuguaglianza e di concentrazione della ricchezza non sono compatibili con i regimi democratici perché hanno riflessi sulla sua tenuta. 

Come vorrebbe il congresso?

Non come un appuntamento di discussione tra gli iscritti, ma come un appello a tutta la società italiana. 

E per quanto riguarda l’Europa? Dopo il congresso ci saranno le europee. Cosa dovrebbe fare il Pd?

Si faccia pure una grande alleanza da Macron a Tsipras, con annesso manifesto su alcuni punti comuni di un’idea di Europa. Ma chi nel Pd pensa che la signora della porta accanto ci voti per questo, è fuori strada. Il vero tema sarà trovare punti di accordo con chi vuole una vera democrazia europea ed è disponibile a firmare un manifesto per arrivare agli stati uniti d’Europa. Non penso tanto a Macron, quanto all’Spd tedesca. 

Ma se è così, allora l’arco europeo da Macron a Tsipras a che cosa serve?

Potrà avere una grande forza sul piano evocativo, ma non si tradurrà in forza elettorale, perché ci sarà una famiglia politica che metterà un candidato e una che ne metterà un altro. Le forze però devono impegnarsi a lavorare insieme. Il vero patto è quello con chi si impegna per arrivare all’unità politica.

Lei quale Pd ha in mente? Quello veltroniano a vocazione maggioritaria? Quello esclusivo alla Renzi? O inclusivo, modello Lazio?

Penso che una fase di alleanze sia inevitabile. Quello renziano non era un metodo esclusivo, era peggio, perché Renzi, con la legge elettorale che aveva fatto, pretendeva le alleanze. Non ho voluto “Piazza Grande” come un appuntamento del Pd, ma di tutti. Il Pd può rinascere solo grazie alla mobilitazione di forze che stanno nella società.

Primarie aperte?

Sì, è l’unico modo per giocarsi la partita e rompere il monopolio delle tessere. Adesso dobbiamo voltare pagina.

(Federico Ferraù)