Se il governo farà bene o male con la legge di bilancio e con l’amministrazione dello Stato lo sapremo giustamente solo con il tempo. Queste sono i due elementi principali il cui fallimento potrebbe fare invertire la marea di consensi che ora non smette di montare a favore di Lega e M5s.
Solo una minoranza sembra attenta alle manifestazioni di incompetenza di alcuni ministri, forse anche perché la cultura e conclamata competenza di altri sono oggi imputati per il disastro attuale.
Inoltre la distanza anche culturale tra votanti e loro rappresentanti non ha creato la fiducia che dovrebbe esserci tra il paziente e il suo medico, ma freddezza e panico, come quando il medico tratta il paziente come un oggetto invece di spiegargli passo per passo quello che deve succedere.
Oggi che il ministro Luigi Di Maio è chiaramente “uno come noi”, cioè non ne sa più di noi, non è un medico laureato ma ci parla mentre tenta un’auscultazione, ci ispira fiducia. Questo funziona di più del gran professorone che usa termini incomprensibili. Funzionerà? Lo sapremo. Adesso sappiamo che solo una minoranza pare disposta a farsi convincere alla vecchia maniera.
Questa è una prima rivoluzione copernicana della politica italiana. Un cambio di paradigma della fiducia nella politica, che è quello che succede nella vita.
Se il professorone gelido ha fallito nella cura, e il raffreddore si è trasformato in tumore ai polmoni, allora il malato si rivolge al guaritore, che almeno gli parla e gli spiega. Così anche se muore, le ultime ore le passa con qualcuno con cui si sente a suo agio, come lui. Questo è forse in poche parole il motivo del crescente successo dei “populisti” in Europa e nel mondo. I sapienti, o presunti tali, hanno fallito, e la politica tradizionale si è fisiologicamente corrotta.
Nel caso dell’Europa poi l’Unione da anni non da risposte nuove e politiche ai problemi nuovi, come ha detto anche il ministro Paolo Savona, quindi la gente di tutto il continente si rivolge altrove.
Detto questo, per l’Italia c’è un problema specifico. Quando membri del governo attaccano i giornali o la Banca d’Italia si passa a un altro livello: come quando lo stregone mette mano al coltellaccio e senza anestesie o disinfezione comincia a tagliare non per estirpare il tumore, ma “farlo uscire”.
La Banca d’Italia, come la magistratura e tanti altri organi dello stato sono indipendenti dal voto e devono esserlo, perché così funzionano le democrazie, con la divisione dei poteri. Ciò non toglie che un economista o un magistrato possa sbagliare, ma non per questo si può accusare tutta l’istituzione o l’organo. Cioè un pezzo di polmone può non funzionare, ma togliendoli tutti e due, quasi a mo’ di prevenzione, si uccide il paziente.
Asservendo la Banca d’Italia o altri organi semplicemente al volere dell’esecutivo si trasforma la democrazia in una dittatura. Lì non ci sono organi indipendenti ma tutti sono al servizio del volere del dittatore.
Potrebbe essere anche una scelta legittima. Tanti stati sono passati per la dittatura, e forse l’Italia oggi merita questo, in una forma moderna. Ma ci sono due ordini di problemi pratici. Uno è la questione antica delle dittature: se il governo dittatoriale sbaglia ,ci vorrà molto più tempo e più fatica per cambiare direzione.
L’altro problema è quello della trasformazione in corso. Cioè mettendo la museruola alla Banca d’Italia e facendola tacere si distrugge un pezzo di Stato, quindi i gialloverdi che devono governare dovrebbero poi sgomberare le macerie e ricostruire. Ci vorrebbe tempo, fatica e non è detto che la prossima Banca d’Italia venga su bene o che l’Italia nel frattempo sopravviva con una Banca d’Italia in macerie.
Tutto ciò poi riporta a una verità antica che lo storico cinese Sima Qian duemila anni fa sintetizzava con: le regole per mantenere il potere non sono le stesse di quelle per conquistarlo. Cioè accusare la Banca d’Italia, i magistrati o altri quando si è all’opposizione o in campagna elettorale può andare bene, ma non va bene farlo quando si deve reggere il governo.
Anche questo paradosso è noto in Cina. Mao, “imperatore” della Cina, scagliò il paese in una rivoluzione interna che durò dieci anni, dal 1966 al 1976. Lui mantenne il potere, ma il paese andò a pezzi, e il “Grande timoniere” fu spianato come da una ruspa.
Certamente il governo oggi non si ispira a Mao, ma oggettivamente Di Maio e il suo alleato vicepremier Matteo Salvini non possono tenere il paese in una campagna elettorale continua, in cui tutti sono continuamente esasperati. Così il paese si trasforma in una distesa di macerie, e la crescita economica, per cui spingono i ministri economici, si arenerà in un deserto di polemiche. Di qui poi necessariamente il fallimento, quindi un inasprimento dei toni, poi una esasperazione dei conflitti fino alla distruzione del paese. Ciò che avvenne con la Rivoluzione culturale in Cina, avverrà anche oggi in Italia? Forse è ora che Di Maio e Salvini si guardino allo specchio, smettano di parlare e lanciare accuse e comincino a pensare a governare.
A meno che il calcolo non sia completamente un altro: tirare il sussulto delle polemiche fino alla primavera, andare alle elezioni e poi allora, con una maggioranza più solida, governare davvero. Se è così, l’Italia e il mondo devono prepararsi a mesi molto turbolenti, anche perché al momento i gialloverdi sono soli, il paziente Italia non ascolta i vecchi medici. Ma forse, chissà, qualcosa di davvero nuovo potrebbe emergere. A quel punto i calcoli gialloverdi potrebbero essere sconvolti.