Secondo un copione già scritto nei dettagli, il governo ha chiuso all’ultimo momento il documento programmatico con la manovra, l’ha spedito a Bruxelles in extremis, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha parlato di “deroghe inaccettabili”, l’esecutivo italiano ha a sua volta replicato che a maggio il vento girerà anche per i vecchi burocrati europei. Niente di nuovo sul fronte occidentale? In realtà qualcosa c’è, ed è il fatto che si consolida la sponda a Juncker offerta da Forza Italia. Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo (e anch’egli in scadenza), ha avuto parole ancora più pesanti di quelle del numero uno della Commissione Ue: “Il giudizio è unanime, in Italia e fuori, su una manovra che non favorisce la crescita, che non crea lavoro, che è destinata a impoverire gli italiani, negativa da tutti i punti di vista”.



Dopo mesi di tentennamenti, il dado sembra tratto. Le dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti di sabato scorso hanno scavato un solco con il passato. Il leghista più moderato ha archiviato l’esperienza del centrodestra come l’abbiamo conosciuto finora, sostenendo che per il futuro gli elettori che vi hanno fatto riferimento dovranno orientarsi verso “una forza populista e sovranista” guidata da Matteo Salvini. Ciao Silvio e ciao azzurri. Da notare che al fianco di Giorgetti, che parlava a un evento organizzato da Fratelli d’Italia, era seduto Giovanni Toti, il più filoleghista degli azzurri.



Certo lascia un po’ basiti ricordare il fuoco di sbarramento che Forza Italia alzò nel 2011 contro gli euroburocrati nell’estate dello spread impazzito, e poi nei mesi successivi l’ostinazione con cui fu sostenuta l’ipotesi del complotto ai danni di Berlusconi premier ordito dalle cancellerie e dalle banche compiacenti per scardinare il nostro sistema finanziario al solo scopo di rovesciare “il governo legittimamente eletto dagli italiani”. Oggi le parti sono completamente rovesciate: chi sta al governo sembra lo scatenato Brunetta di sette anni fa, e chi sta all’opposizione prende le difese di Bruxelles.



Ma ormai per Berlusconi la strada appare obbligata. Nel momento in cui Salvini tramite Giorgetti gli manda il biglietto d’addio, il Cavaliere non ha più nulla da perdere e punta a rappresentare i — peraltro pochi — scontenti del governo pentaleghista. L’establishment assiste impotente allo show della coppia Salvini-Di Maio che occupa stabilmente la scena mediatica: da Mattarella a Draghi, la scelta è quella di arginare lo strapotere dei Dioscuri, di contenerli ma non di imbrigliarli. Lo stesso Juncker ha usato bastone e carota, dicendo che l’Italia “non è sul banco degli imputati” e che non commenta le singole componenti della manovra perché a lui interessa “il saldo”, cioè il risultato finale. Gli attacchi più diretti vengono dal Pd ma adesso anche da Forza Italia. Che ora non può più perdonare Salvini. Anzi, non lo può condonare.