Moscovici vede Tria e bastona la manovra dell’Italia, con l’ingiunzione di rispondere entro lunedì alle “deviazioni senza precedenti” che preoccupano Bruxelles. Conte abbozza una replica, Tria invoca il dialogo, ma le posizioni si fanno distanti e la Commissione ha fatto capire che il tempo della flessibilità è finito. La giornata di ieri si segnala anche per lo scontro tra M5s e Lega sul decreto fiscale, una frattura nella maggioranza che indebolisce il governo proprio nel momento in cui dovrebbe essere più coeso di fronte al muro europeo. In gioco infatti non c’è il 2,4 per cento di deficit sul Pil previsto dall’Italia, ma una traiettoria di rientro del debito che per la prima volta non converge allo zero nei quattro anni del Def. Una violazione aperta del Fiscal compact sulla quale i guardiani del pareggio di bilancio non intendono transigere. Secondo il costituzionalista Mario Esposito in caso di scontro l’Italia avrebbe la peggio, e non perché a Palazzo Chigi ci sono Di Maio e Salvini. “Juncker e Moscovici possono dire ciò che dicono perché noi, con le nostre scelte, glielo abbiamo permesso”. Una previsione? “Si potrebbe arrivare alla caduta del Governo”.
Professore, come si risolverà lo scontro tra Ue e Italia?
Potrebbe avere effetti sul piano internazionale: l’Ue potrebbe contestarci dinnanzi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea l’inadempimento di obblighi assunti in forza dei trattati sull’Unione. Sarebbe una partita molto complicata. Dovremmo spiegare come e perché ci siamo resi inadempienti.
Perché usa il condizionale?
Perché questa vicenda potrebbe viceversa avere l’effetto di una sorta di reagente, che rivela più chiaramente e nella sostanza natura ed effetti del processo di cosiddetta integrazione europea, vista dal punto di vista del nostro Paese. Potremmo così scoprire che non si tratta di una vicenda qualificabile nei termini classici del diritto internazionale, ma piuttosto di un fenomeno di progressiva, radicale sostituzione del nostro ordinamento costituzionale.
Intende dire che siamo “nudi”?
È un dato che siamo sprovvisti di qualsivoglia presidio, soprattutto a livello costituzionale: siamo andati avanti a suon di leggi ordinarie di ratifica e di esecuzione dei trattati, mentre altri Paesi, a a cominciare dalla Germania e dalla Francia, dispongono di meccanismi idonei a preservare i principi che ne caratterizzano l’identità. Qualcosa di ben diverso dai controlimiti escogitati dalla Corte costituzionale, ossia dallo stesso organo che ha ampiamente avallato l’abuso interpretativo che ha fatto dell’articolo 11 della Costituzione il varco attraverso il quale è stata operata la sostituzione di cui dicevo.
Se le cose stanno così, che cosa potrebbe accadere?
Si potrebbe arrivare alla caduta del Governo o a qualche altro evento che vi somiglia. Per quanto possa apparire bizzarro, la ripetuta azione di alterazione della nostra struttura costituzionale ha fatto sì che gli organi di garanzia del sistema appaiano ormai orientati a svolgere un’azione di tutela e protezione di quel che si definisce acquis communautaire: è difficile attendersi dunque che la dinamica del poco che resta dell’indirizzo politico nazionale segua le regole “formali” della Costituzione. D’altra parte, è significativo che Moscovici si sia recato dal presidente della Repubblica…
Può spiegarci meglio questo rapporto di subalternità?
Dallo studio del nostri rapporti con l’ordine giuridico comunitario, prima, ed europeo poi — badi bene: dal 1956 ad oggi — si desume che, vista da Roma, la cosiddetta integrazione europea, volendo semplificare quanto più possibile, abbia dato luogo all’annessione ad una “istituzione di istituzioni”, ad una nuova e diversa organizzazione ove è collocata la “testa” politica. Il nostro vero governo sta a Bruxelles. E ciò senza mai, in alcun modo, coinvolgere i cittadini.
Come avviene in una Federazione.
No, ed è qui l’errore. Le condizioni di adesione non sono affatto eguali per tutti gli Stati membri, con buona pace delle condizioni di parità richieste dall’articolo 11 della nostra Costituzione. Si potrebbe quasi dire che l’Unione Europea non è sempre la stessa, ma che vari a seconda del punto nazionale di osservazione.
Ma allora vista dall’Italia che cos’è l’Unione Europea?
Una deformazione del nostro assetto statuale, o meglio, una riconformazione abusiva delle nostre strutture di governo. Ottenuta, ripeto, senza predisporre un effettivo, sicuro e certo filtro costituzionale a difesa, se non altro, dei principi fondamentali della nostra comunità.
Alla luce di queste considerazioni, che senso ha l’aperta ostilità della Commissione?
La Commissione si rapporta a noi usando — e talvolta abusando — della legittimazione che le abbiamo conferito, ricordandoci che la nostra organizzazione interna, intendo dire quella collocata sul nostro territorio e fondata ancora in larga misura sul principio di rappresentanza politica, ha ormai competenze e funzioni di tipo regionale, se non addirittura provinciale. Abbiamo “rinunciato a spazi di sovranità”: e non lo dico io, né la Commissione, ma la Corte costituzionale. Il caso Taricco assume anche per questo estremo rilievo. Altri episodi ben noti parlano chiaro.
Quali episodi?
Quanto è successo con il governo Berlusconi nel 2011; la riforma costituzionale del 2012 e il tentativo di riforma del 2016. Ma anche la formazione del governo Conte, nel momento in cui Savona è risultato non gradito perché di non sicura fedeltà — non già lealtà, attenzione! — nei confronti dell’Unione Europea.
Cosa ci resta da fare?
Prendere atto dei cambiamenti istituzionali intervenuti in questi sessant’anni di trattati, assumerli in un progetto di Costituzione da sottoporre al voto del titolare di quella sovranità della quale si è sinora disposto senza mandato.
Il popolo.
A meno che l’articolo 1 non sia stato modificato a nostra insaputa, è ancora il popolo il titolare della sovranità: e quella disposizione è frutto diretto della scelta istituzionale del 1946.
Perché questo passaggio secondo lei sarebbe necessario?
Perché Commissione e Bce parlano all’Italia con funzioni di organi apicali del nostro sistema? Perché non abbiamo regole costituzionali che disciplinino i rapporti con l’Ue.
Alternative?
Resta solo quello cui stiamo assistendo: Salvini e Di Maio che fanno la voce grossa su singoli dettagli. L’indignazione e la protesta sono destinate alla sconfitta. L’assetto istituzionale vigente ci obbliga ad ottemperare alle richieste dei nostri organi di vertice, che sono quelli europei.
Quali sono le nostre responsabilità?
Ci sono e sono gravissime. Ci siamo infeudati volontariamente ad un’organizzazione che, almeno da un certo punto in avanti, era ben prevedibile che “degenerasse” in una sorta di lega egemonica che ci avrebbe privato dei fattori di fertilizzazione del nostro sistema economico. Oggi l’Ue ci dice addirittura a chi devono andare in concessione le spiagge! Juncker e Moscovici possono dire ciò che dicono perché noi, con le nostre scelte, glielo abbiamo permesso.
Vuole dire gli errori colpevoli dei politici che ci hanno governato.
Dei politici e dei tanti, troppi chierici che hanno giurato fedeltà non richiesta. Il profilo paradossale è, come ho accennato, che il parlamento ha ratificato trattati — Roma, Maastricht, Amsterdam e Lisbona — che comportano profonde revisioni istituzionali e costituzionali, con legge ordinaria.
Perché lo definisce un fatto paradossale?
Perché questo, chissà, potrebbe anche offrire una possibile soluzione: il sovrano, ripeto, non si è ancora pronunciato.
(Federico Ferraù)