I settantamila a piazza del Popolo a Roma, chiamati dal Pd, una scommessa vinta dal segretario Martina, e forse ancor di più i venticinquemila in piazza a Milano contro razzismo e intolleranza, i fermenti d’impegno giovanile suscitati all’Università di Bologna dall’appello di due ragazze all'”Italia dei saperi”, a chi studia e crede che la competenza non sia fatta solo di capacità comunicativa sui social, sono buone notizie.
E non tanto perché parlano di un’opposizione al governo giallo-verde. Un’opposizione necessaria non per partito preso, contro il vero o presunto “governo del cambiamento”, ma per la tenuta stessa di un sistema politico democratico, il cui governo deve fisiologicamente rimanere contendibile da un’opposizione credibile. Ma perché esprimono un’esigenza forte e viva di politica non prona all’ondata di piena populista e sovranista.
Un’opposizione che non ha ancora messo a fuoco con nitidezza la proposta di società per l’Italia a venire, ma che ha chiara la necessità di contrastare gli egoismi sociali e territoriali presenti nel blocco sociale della Lega, e la sua visione securitaria e regressiva sui valori e i diritti. Come pure il velleitario approccio dei 5 Stelle al ristoro dei ceti più deboli, soprattutto al Sud; Sud che si troverà tra le mani un po’ di sussidi in più, e non lavoro come sarebbe necessario. Insomma un’Italia non che cambia, ma che ancora una volta – in assenza di una politica industriale e del lavoro – prova a tenersi a galla affidandosi al “nero”.
Perché è facile prevedere che questo significherà la “pace fiscale” al Nord e il reddito di cittadinanza al Sud. Che dovrebbe nientemeno che abolire la povertà, ma appare piuttosto vocato a diventare un sostegno stabile aggiuntivo a un mondo del lavoro che resterà affidato al nero, come da decenni, per sopravvivere. Insomma per farla breve, Brambilla dichiarerà un forfait di reddito autonomo su cui pagherà una sorta di cedolare secca e in cambio sarà lasciato tranquillo, ed Esposito sommerà il sussidio di cittadinanza al lavoro in nero ai tavoli di una pizzeria o in una piccola attività. Nella speranza sul medio periodo che il ciclo economico riparta per i fatti suoi, e il governo possa intestarselo come effetto delle sue misure. E nella più concreta aspettativa, nell’immediato, di lucrare (nella logica degli 80 euro) un risultato elettorale alle europee, che mantenga la base elettorale del governo al 60% del gradimento che riceve nei sondaggi. Un risultato che, in base a come sarà distribuito tra Lega e 5 Stelle, deciderà se il governo gialloverde durerà, oppure Salvini sarà tentato dalla spallata delle elezioni anticipate, prima che l’incompatibilità di non poche delle misure previste dal contratto di governo gli si rivolti contro, quando sarà usurata anche la carta della paura e dei fastidi degli italiani, dai migranti ai campi rom.
Insomma è contro quest’Italia del galleggiamento a vista, percepita senza futuro, interpretata da un ceto politico che già pare disposto a tutto per restare dov’è, costasse la sfida ai mercati, all’Europa e all’euro, che si sono riempite le piazze di Roma e di Milano. Piazze dove si è intravista, rianimata per un giorno, un’Italia possibile, “altra” da quella della paura alimentata e dei bisogni — reali — manipolati: quella della consapevolezza della gravità del momento.
Sarebbe però esiziale — soprattutto l’Italia della piazza di Roma — usarla come massa di manovra per un tentativo di rivincita del ceto politico che quest’Italia della consapevolezza ha condotto alla sconfitta. Non è tempo di rivincite, per nessuno. Ma di offrire al Paese un’agenda diversa da quella che s’intravede nella “finanziaria del popolo”. La leadership che dovrà proporla agli italiani si troverà nel processo di costruzione di quest’agenda. A piazza del Popolo non c’era. Questo dovrebbe essere intuitivo per gli stessi che l’hanno promossa.