Se l’anatema scagliato da Beppe Grillo contro il Quirinale era un’arma di distrazione di massa, ha fallito clamorosamente il bersaglio. Non solo non ha distolto l’attenzione dalle contraddizioni della politica economica del governo gialloverde, ma ha piuttosto contribuito ad aumentare la diffidenza del Quirinale rispetto alle mosse del Movimento 5 Stelle, per due volte in una manciata di giorni in rotta di collisione con il Colle più alto. 



A poco è valso scaricare precipitosamente il fondatore del Movimento, lo sfregio rimane, e profondo. Come per la clamorosa minaccia di denunciare alla magistratura la presunta manina che avrebbe manomesso il decreto fiscale, anche questa volta Di Maio e i suoi devono innestare la marcia indietro, e profondersi in assicurazioni che c’è piena fiducia in Mattarella come garante della Costituzione e che non esiste nel contratto di governo alcun impegno a ridurre i poteri del capo dello Stato.



Se Grillo voleva distogliere l’attenzione dallo scontro fra 5 Stelle e Lega, ha combinato un disastro. Ha allargato la distanza con un Quirinale che fa sempre più fatica a rimanere neutrale, dispiegando la propria moral suasion il più possibile lontano dalle telecamere. In origine Mattarella e i suoi si fidavano più di Di Maio e dei suoi che non di Salvini, ma questo quadro appare in rapida evoluzione. 

Per tutta la settimana il Capo dello Stato si è speso per mediare fra il governo e l’Unione Europea, e ha ricevuto per risposta insulti. Il colloquio con il commissario agli affari economici, Pierre Moscovici, è stato un tassello fondamentale di questo lavorio: Mattarella ha auspicato che le distanze si possano colmare sulla base del dialogo, e questo si è tradotto in un netto abbassamento dei toni da entrambe le parti. Un inizio promettente, che faceva ben sperare per la riapertura dei mercati, dopo il declassamento del debito pubblico italiano operato da Moody’s. Poi è arrivato Grillo, ufficialmente ormai lontano dal cuore operativo del partito pentastellato, ma pur sempre “l’elevato”, il fondatore.



Al Quirinale, e non solo, crescono i dubbi sulle prospettive del prossimo futuro. Nessuno si immaginava una rottura in questa occasione, ma l’impressione è che lo showdown fra Salvini e Di Maio sia stato solamente rinviato. 

A quando? Bella domanda. Molti osservatori danno al governo un’orizzonte di sette mesi, sino alle elezioni europee del 26 maggio 2019. Ma non è detto che sia davvero così. Maggio è lontano, e — ammesso che Salvini concretizzi il successo che i sondaggi oggi gli attribuiscono — troppo in là nel calendario perché si possa andare a votare subito dopo. Se il ministro dell’Interno volesse tentare il colpo gobbo, potrebbe trovare un pretesto per rompere non appena approvata la manovra economica, verso Natale, per portare il paese al voto per le politiche a fine febbraio, e per le europee a fine maggio. La tentazione del filotto, diciamo così. 

Cosa si frappone fra Salvini e la concretizzazione di un simile scenario, in apparenza estremamente favorevole al leader leghista? Il Quirinale, ovviamente. Il capo (ex) padano con i suoi è cauto, perché perfettamente coscio che il Capo dello Stato farebbe ogni sforzo per dar vita a un governo alternativo a quello di Giuseppe Conte, e potrebbe pure riuscirvi, visto che la capacità di Renzi di stoppare l’abbraccio fra Pd e 5 Stelle risulta assai più affievolita rispetto a maggio. Un governo Fico, tanto per capirci, potrebbe nascere per davvero

Come andranno davvero le cose nessuno sa dirlo oggi. I prossimi mesi, quindi, potrebbero vedere una lenta guerra di logoramento fra pentastellati e leghisti, in posizione di forza. Si è visto nelle ore dello scontro sul condono: i salviniani hanno reagito proponendo di cancellare il condono edilizio di Ischia (collegio elettorale di Fico e Di Maio), e di rivedere il meccanismo di ricalcolo delle assicurazioni auto, vantaggioso per il Sud e penalizzante per il Nord. A far innervosire i leghisti gli emendamenti (un’ottantina) dei pentastellati al disegno di legge di riforma della legittima difesa. 

Ci sono tutti i presupposti per almeno due mesi di guerriglia, in cui Salvini e i suoi sembrano voler far di tutto per indebolire gli alleati di governo di oggi. In attesa di decidere cosa convenga fare da Natale in avanti.