L’attacco ai poteri del presidente della Repubblica da parte di Beppe Grillo al Circo Massimo di domenica scorsa ha suscitato, com’è ovvio, molteplici reazioni. Da chi ha espresso preoccupazione a chi lo ha definito inquietante, da chi ne ha sottolineato il carattere gratuito a chi sospetta vi sia sotto una sorta di messinscena, da chi reputa che si tratti dell’opinione personale di un personaggio ormai svincolato dalle logiche del Movimento 5 Stelle, a chi ne immagina la piena e persistente sintonia con il capo politico Di Maio.



Certo, la sede dove l’attacco ha avuto luogo è di un qualche significato, trattandosi dell’evento “Italia 5 Stelle 2018”, sullo stesso palco dal quale ha parlato anche il presidente del Consiglio dei ministri Conte. La performance, poi, è stata eseguita esibendo una finta mano, quando pochi giorni prima (nella puntata di Porta a porta del 17 ottobre) c’era stata la nota denuncia di Di Maio di avvenuta manipolazione del testo del decreto fiscale, a opera di una manina misteriosa, prima della trasmissione al capo dello Stato. Ciò che aveva indotto a una nuova riunione del Consiglio dei ministri (sabato 20 ottobre nel pomeriggio), con necessità di un riesame del testo.



Infine, nel suo monologo Grillo si è anche riferito all’impeachment, e nessuno avrà dimenticato che era fine maggio (meno di cinque mesi fa) quando Di Maio e i vertici del Movimento invocavano l’impeachment per Mattarella, salvo ammettere l’errore solo un paio di mesi più tardi (ma nel mezzo c’era stata la nascita del Governo del cambiamento).

Per contro, va riconosciuto che le riforme istituzionali di cui si parla nel contratto di Governo non si appuntano sul presidente della Repubblica; inoltre, i poteri che Grillo vorrebbe sottratti al capo dello Stato non sono esattamente quelli che in assoluto più ne qualificano il ruolo (corre una certa distanza, infatti, tra la nomina del Governo o lo scioglimento delle Camere e il comando delle Forze armate, la nomina dei senatori a vita o la presidenza del Consiglio superiore della magistratura).



Eppure vi sono almeno un paio di aspetti che vanno sottolineati, al di là della portata e della serietà delle affermazioni di Grillo.

Il primo. L’episodio si inserisce in una scia di vicende che sembrano denotare una scarsa metabolizzazione del significato delle istituzioni e delle funzioni di garanzia e di controllo. Basterebbe richiamare la lettera di dimissioni di Mario Nava dalla Consob di poche settimane fa (motivata con la “richiesta” in tal senso da parte dei capigruppo dei partiti di maggioranza) o le forti polemiche seguite, a inizio ottobre, alla mancata validazione delle previsioni programmatiche nella Nadef 2018 a opera dell’Ufficio parlamentare di bilancio.

Il secondo. Il modo di operare sembra tradurre la tendenza per cui alle critiche e alle obiezioni (particolarmente importanti proprio quando provenienti da organi di garanzia e controllo) si risponda cambiando i titolari, minacciandone la trasformazione del ruolo o evocando la brevità del mandato che residua (“parli pure questa Commissione europea, tanto ha tempo fino a maggio…”).

Ebbene, farlo, o anche solo immaginare di farlo, nei confronti del capo dello Stato riveste una gravità ulteriore, per ciò che esso rappresenta nel disegno costituzionale. I vari poteri di cui dispone e la possibilità di modularne l’uso lo rendono, infatti, garante dell’equilibrio e “magistratura di influenza” (secondo le parole della Corte costituzionale), “organo di moderazione e di stimolo nei confronti di altri poteri, in ipotesi tendenti ad esorbitanze o ad inerzia”.

E proprio mentre arriva la notizia della “bocciatura” della Commissione europea della nostra manovra, con invito a presentare una nuova bozza entro tre settimane, uno stringato comunicato del Quirinale ci informa che il 18 ottobre scorso il presidente Mattarella ha ricevuto il commissario europeo per gli affari economici e monetari, Pierre Moscovici.