L’Unione Europea è fondata su un continuo alternarsi di onde di marea: quando il ciclo economico mondiale sale, tutte le tracce che la vita di ogni giorno deposita sulla sabbia scompaiono; quando il ciclo economico scende quelle tracce emergono e costruiscono un paesaggio composito come composite sono la vita sociale e la storia. La storia europea è fondata sulle sue nazioni e sulle sue differenze culturali, sul suo pluralismo che ne ha costituito la forza. Questo pluralismo può altresì configurarsi come debolezza se non si compone, venendone invece esaltato, con istituzioni rappresentative e decisionali che sappiano unire policentrismo e decisionismo, contemperando la rappresentanza territoriale con quella priva di legittimità democratica, se non in seconda istanza, com’è nel caso delle burocrazie economiche europee centralizzate a Bruxelles.



Tutto il disagio europeo di oggi, quando la marea è scesa, deriva da questo malcomposto costrutto istituzionale. Esso non ha una forma organica tipicamente democratica, ma si configurata invece come vettore che scaturisce dal parallelogramma delle forze degli stati nazionali come potenze economico-burocratiche. Di qui gli squilibri europei che si riflettono nelle politiche economiche fondate dell’austerità e sulla politica dell’offerta con la deflazione, i bassi tassi di profitto delle imprese industriali, i bassi salari, gli scarsi consumi.



La reprimenda dell’Ue alla politica economica delineata nel progetto governativo italiano (la “manovra”, come si usa dire) risente di questo costrutto istituzionale squilibrato. Le forze nazionali dominanti in Europa non comprendono che il problema italiano non risiede nel suo eccesso di debito misurato in centesimi di punto, quanto invece nell’assenza di politiche vigorose rivolte alla crescita industriale e manifatturiera, crescita che è alla base della domanda interna e della possibilità di una spesa pubblica sempre più necessaria (quest’ultima in Italia è la più bassa d’Europa).



Di qui la debolezza organica della proposta governativa: essa va nel senso giusto, ma difetta nella strumentazione tecnica necessaria per inverarla, quella crescita. Soprattutto in un contesto mondiale che è quello che è ben riassunto dal titolo della copertina dell’Economist: “The next recession. How bad will it be?”. E qui si disvela la contraddizione europea: l’Ue avrebbe dovuto rimproverare all’Italia di non aver fatto abbastanza per indurla, quella crescita, e non, invece, di aver superato di qualche virgola quel tetto del deficit! Il tutto mentre l’Italia vanta un avanzo primario e la famiglie meno indebitate del mondo. E inoltre quella crescita avrebbe dovuto inverarla la stessa Commissione europea: dov’è finito il piano Juncker degli investimenti, dov’e finito il progetto di separare dal deficit le spese per gli investimenti medesimi?

Gli errori della cuspide che ora comanda in Europa enfatizzano le debolezze governative balbettando sul fronte infrastrutturale con le terribili indecisioni in merito, per esempio, all’arrivo del gas naturale in Puglia e a tutte le altre opere pubbliche da cantierizzare quanto prima. Una serie di errori e uno sforzo troppo debole per non compierli più. Tutto questo in una nazione che, a differenza di Francia, Spagna, Portogallo, anch’esse nazioni sottoposte alle reprimenda Ue, si divide drammaticamente sulle politiche economiche e in cui le opposizioni e l’intellighenzia mainstream tifano per la Troika e per il default e non vedono l’ora che i cavalieri dell’Apocalisse (si guardi alla Grecia e a com’è stata ridotta) giungano a Roma come Petain faceva a Vichy.

Già, la storia… ma chi si cura, oggi, tra coloro che hanno abbandonato la vita dello spirito, di ciò che rimane sulla sabbia nella bassa marea?

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