L’attesa in Italia e in Europa è per oggi, il giorno della resa dei conti. I mercati alla riapertura promuoveranno o bocceranno la manovra del governo?
Dietro questa domanda ormai si annida un nodo politico, non economico. Il problema vero non è se la manovra sia più o meno praticabile da un punto di vista dei numeri, ma se la maggioranza regge o meno alle sue fratture interne.
Le spaccature infatti sono almeno tre.
La prima è quella tra i due partner di governo, la Lega e il M5s. Ciascuno si rivolge a due pubblici diversi, l’uno ai ceti produttivi del Nord, l’altro a quelli meno produttivi del Sud. Nessuno dei due ha elaborato un discorso coerente per entrambi e quindi la spaccatura politica si trasforma anche in cesura geografica. Ma l’Italia è una, non si può dividere e questo impalla tutto.
L’altra cesura è all’interno del M5s tra ala Di Maio e ala Fico/Di Battista. Di Maio è quello più “governativo”, che vorrebbe nei fatti un partito di centro, gli altri sono più “movimentisti”, e occhieggiano alla sinistra Pd. In realtà anche qui le divisioni sono irrisolvibili, perché il governo porta soldi e potere (che il movimento vuole e forse brama), il movimentismo porta i voti (senza cui non esisterebbe).
La terza frattura è nella Lega tra Salvini, il giovane leone, e la vecchia guardia del partito. Di nuovo la soluzione è difficile. Salvini ha fiuto e ha trasformato la Lega da costola di minoranza del centrodestra al Nord in partito nazionale. Ma la vecchia guardia ha le conoscenze e l’esperienza per l’amministrazione, cosa senza la quale i voti di Salvini rischiano di trasformarsi in nulla.
In questa selva di contraddizioni incrociate al cubo è facile pensare che tutto salti e si possa tornare all’ipotesi iniziale della legislatura in cui alla fine il Pd, ora rinsavito, si allei al M5s, mettendo la Lega da un canto ed eliminando le tentazioni più retrive, fasciste in circolazione. Quindi — dicono gli architetti dei complotti di palazzo — dopo la caduta del governo si fa un governo senza Salvini che arriva a fine legislatura, mette in riga le cose e fa sbollire i furori leghisti nel loro brodo.
Ma può essere davvero così? Quella innestata oggi in Italia pare una rivoluzione e le rivoluzioni devono esaurire le loro spinte, altrimenti divorano qualunque cosa passi loro davanti.
I lealisti Manchu che si opposero alla prima repubblica dopo la rivoluzione del 1911 aprirono la porta alla rivoluzione del Kuomintang (Kmt); i tradizionalisti che si opposero al Kmt aprirono la porta ai comunisti. Semplicemente perché la spinta storica voleva un cambiamento radicale, non il ritorno dei vecchi.
Oggi opporsi a questo Salvini ed escluderlo dal governo porterebbe lui o i suoi fedeli più radicali a estremizzare le posizioni. Cioè il più grande regalo a Salvini oggi sarebbe mandarlo fuori dal governo e varare un esecutivo M5s-Pd. A quel punto il leader della Lega potrebbe prendere qualunque pretesto, un furto, una carta per terra, un immigrato capitato per caso alla periferia di Monza, per montare una campagna. Gli elettori non ce l’hanno con le cose di per sé, vogliono un cambiamento radicale, giusto o sbagliato che sia.
La Lega ultra-radicale trionferebbe alle europee e poi in ogni voto amministrativo da lì in avanti. Ciò fino a mettere sotto assedio il governo, costringerlo alle dimissioni e poi con un nuovo parlamento in cui la Lega potrebbe avere la maggioranza assoluta, magari anche spingere alle dimissioni il capo dello Stato. La prospettiva non è del tutto peregrina, visti i sondaggi che aumentano ogni volta che Salvini spinge su posizioni radicali.
Per evitare questo scenario, visti i problemi del paese, ci vorrebbe un governo dove tutti collaborino, ma questo non si riesce a ottenere per la partigianeria diffusa. Quindi forse si dovrebbe far governare l’esecutivo attuale il più a lungo possibile, per il bene del paese e per provarne nei fatti il valore o meno.
Infatti è chiaro che ciascuna delle varie fazioni in contraddizione oggi non vorrebbe governare, conscia della montagna che hanno davanti, e vorrebbero ciascuna un mandato elettorale più chiaro per potersi muovere con maggiore facilità.
Altrimenti bisognerebbe avere una vera alternativa che non sia una semplice ribollita del vecchio sistema. Ma questa non c’è né può essere tirata fuori come un coniglio dal cappello. Quindi, se il governo dovesse implodere, forse bisognerebbe tornare alle urne, perché se una Lega al 35% non piace, una al 50% e ancor più radicalizzata forse sarebbe peggio.
Se poi davvero si pensasse a battere la Lega, beh per quello ci vuole una strategia politica vera, e non una manovra di palazzo.