Francesco Boccia, deputato del Pd, si candida alla guida del partito e sta girando in questi giorni i mercati del nord Italia (l’ultimo video lo ritrae a Torino) per salvare ciò che resta della credibilità dei dem. Il Pd si è autoconfinato nel cloud renziano e lì ha detto definitivamente addio ai ceti popolari. Boccia fa mea culpa, snocciola il suo programma su crescita, occupazione e scuola, critica la manovra ma conferma di voler aprire a M5s. Su questo il suo scontro con Renzi sarà frontale.
Qual è il Pd che vuole Francesco Boccia?
il Pd di oggi è un partito che ha vissuto nelle elezioni del 4 marzo scorso la più grave crisi di identità politica della sua storia recente. Io sono stato capo del dipartimento economico di Palazzo Chigi con Romano Prodi al governo. La mia speranza, come quella di chi con me ha fatto l’Ulivo, era di costruire un partito di massa che tenesse insieme il solidarismo cattolico, socialista, marxista, tutte quelle esperienze culturali che facevano e fanno della persona un punto fermo.
Cosa dirà al congresso?
Dirò che il Pd era nato per essere un partito di massa, che parte sempre dai più deboli, dalle periferie, dalle povertà diffuse. Il partito in grado di legare quei bisogni con la visione delle élites. Ma anziché fare la sinistra ci siamo messi a fare quelli che provavano a tener buone le élites. E da classe dirigente siamo diventarti ceto di potere.
Cosa non avete compreso?
Siamo nel mezzo di una rivoluzione dirompente, quella digitale, superiore a qualsiasi altra rivoluzione avvenuta nella storia del capitalismo. Una dinamica che se non governi subisci, e se la subisci resti inerme di fronte alla massimizzazione del profitto.
Avete preferito Blair alle periferie.
Il mercato è solo uno strumento di redistribuzione, di regolazione, la politica ha il dovere di utilizzarlo. L’alternativa è farsi utilizzare.
Torniamo al Pd.
Il Pd ad un certo punto è entrato in un cloud (nuvola, ndr), il cloud renziano. Ci siamo lasciati suggestionare dall’idea che con la rottamazione avremmo risolto i problemi di interpretazione della società. In realtà l’abbiamo abbandonata prima del 2013, altrimenti il pessimo risultato di Bersani non ci sarebbe stato.
Nessun mea culpa?
Al contrario. Per parte mia, sento la responsabilità di non aver fermato tutto questo in tempo. Non ho votato il Jobs act, né il provvedimento sulle banche, ho criticato la “Buona Scuola”, ma anche quando fai minoranza devi essere efficace altrimenti fai minoranza inutile.
Quali sono le ricette che possono consentire al Pd di riguadagnare terreno?
Abbiamo fatto un errore clamoroso, quello di fare il Reddito di inclusione (Rei) l’ultimo giorno dell’ultimo mese della legislatura. Dovevamo farlo il primo giorno del primo mese.
E M5s vi ha rubato l’idea.
In una fase di profonda trasformazione del mercato del lavoro bisogna aiutare chi è rimasto indietro. Bene, ma M5s non fa questo; mette insieme il salario di inserimento al lavoro con l’intervento sulla povertà, che si poteva fare bene con il Rei. Io penso che oggi l’Italia abbia bisogno di entrambe le cose, ma fatte in maniera diversa.
Dunque il reddito di cittadinanza è un salario di inserimento fatto in maniera sbagliata.
Sì. Negli anni 90 in Gran Bretagna se ti iscrivevi al Job center ti davano l’Income support, un sostegno settimanale propedeutico a farti vivere in maniera dignitosa per poi trovare un lavoro. Questo è welfare attivo, ma noi siamo in grado di farlo? Forse c’è bisogno di qualche mese e di qualche idea in più.
M5s invece?
Vuol tenere insieme tutto. Così si colmano i vuoti di consenso ma si sprecano soldi e si fanno danni. Tra chi è in difficoltà c’è anche chi un lavoro non lo troverà più, forse è più conveniente accompagnarlo alla pensione e occuparsi dei suoi figli.
Lei cosa propone?
Per generare occupazione va bene una sola misura forte da Nord a Sud e questa misura è la riduzione del costo fiscale che grava sul lavoro. E’ la sfida che io propongo ai 5 Stelle: se mettiamo insieme il finanziamento del reddito di cittadinanza e gli 80 euro, destiniamo 20 miliardi alla riduzione. Sarebbe come mettere il turbo al nostro sistema.
Con Renzi al governo lo avete fatto, ma non ha funzionato.
Invece ha funzionato eccome, quando nel 2015 la decontribuzione era piena. Voleva dire per l’azienda 8100 euro l’anno in meno di contributi al lavoratore per tre anni. Io chiedevo lo sgravio permanente, ma Renzi ha perso di vista l’obiettivo e i vari bonus hanno asciugato le risorse. Nel 2016 la decontribuzione era già scesa a 3260 euro l’anno.
Lei è contro la flat tax, ma non pensa che una flat tax rimodellata sulle partite Iva come vuol fare la Lega possa aiutare i piccoli?
Ma tutte le imprese e le partite Iva la tassa piatta ce l’hanno già. Io vengo da anni in cui le scorciatoie verbali del leader del mio partito hanno portato il Pd a finire contro un muro, ora non vorrei che le scorciatoie verbali di chi guida il paese lo portino a schiantarsi. In un paese dove la partita Iva maschera un’attività professionale riconducibile di fatto al lavoro dipendente, nel momento in cui con il decreto dignità si cancellano i contratti a tempo determinato e si eleva il regime forfettario delle partite Iva dagli attuali 35 ai 65mila euro, mi dica lei cosa preferisce fare un imprenditore piccolo o medio, fare a una persona un contratto a tempo indeterminato, o arruolarla con partita Iva per 40-50mila euro?
E la flat tax sull’Irpef? E’ stata rinviata.
Resto comunque contrario, sono per le tre aliquote Irpef. E già oggi 31 milioni di italiani sono sotto la prima aliquota del 23%.
E’ sicuro di avere le coperture per il taglio del costo del lavoro e per il Rei che propone?
Le mie proposte sono basate sul quadro macroeconomico ipotizzato dal governo: 22 miliardi di debito, 7 miliardi di tagli che non si sa quali saranno ma che temo colpiranno le Regioni, e 6 miliardi di nuove entrate. Senza fare né flat tax, né quota 100 né reddito di cittadinanza, le risorse da destinare a lavoro, scuola e ambiente ci sarebbero.
E l’Europa non avrebbe nulla da ridire, a saldi invariati?
I vicoli di bilancio europei non hanno alcun senso. La Germania deve capirlo: l’Europa o la si salva insieme, oppure salta tutto.
A proposito di scuola. Lei la “Buona Scuola” non l’ha votata. Cosa propone?
La legge 107 aveva cose buone e altre folli, come la stabilizzazione degli insegnanti. La scuola va sottratta alla trattativa che continuamente tutti facciamo manovra dopo manovra. Vorrei dare ad ogni bambino dalla prima elementare alla maturità, se la famiglia è indigente, un conto per la vita a carico dello Stato. Mille euro l’anno utilizzabili dal dirigente scolastico per la sua formazione, dai libri alla mensa e ai trasporti. Eleverei l’obbligo fino a 18 anni. La scuola non può rinunciare ad essere un ascensore sociale. Prima lo Stato deve pensare ai bambini di Quarto Oggiaro, poi a quelli di via Montenapoleone.
Cosa deve fare il Pd in vista delle europee? Un “listone”? O il fronte repubblicano di Calenda?
Quando Calenda chiede un fronte repubblicano, non ha capito come si vive nelle periferie. Io ho un’ambizione: far venire tutti dentro il Pd. Ecologisti, socialisti, cattolici. Listone è un brutto nome. Se serve a nascondere una classe dirigente impresentabile, non è lo strumento giusto.
Credete tutti nella stessa Europa?
La cosa imperdonabile è che alcuni di noi siano andati a genuflettersi dalla Merkel e da Juncker facendo accordicchi su qualche punto di flessibilità. Queste persone andavano politicamente combattute.
Di nuovo Renzi.
Se c’è un errore che Renzi ha fatto nel 2014 è stato quello di non far saltare il banco. Avevamo vinto e con la vittoria anche la forza per non far andare Juncker alla presidenza della commissione.
Perché non andare con Macron?
Macron mi deve ancora convincere che la sua idea ecologista è simile alla mia. Sui paesi in via di sviluppo non mi pare che la pensiamo allo stesso modo. Quanto destina loro l’Europa? La mia proposta è che il 10% delle risorse dei paesi membri vadano a bilancio dell’Ue e che l’Ue dia l’1% ai Pvs con serie politiche di cooperazione. Possibilmente, senza consentire ai francesi di farci le scarpe nottetempo nel Maghreb.
Lei è sempre per il dialogo e l’alleanza con M5s?
Sì. Che cosa deve fare un grande partito riformista come il Pd, che oggi non ha la forza e la credibilità per imporre una linea, almeno non prima del congresso, se non dialogare con coloro che adesso sono legittimati da una parte dei ceti popolari a rappresentarli in parlamento? Con chi dovrei dialogare, con Salvini?
Non tutto il Pd è d’accordo.
Su questo non c’è dubbio. Ma in un sistema proporzionale chi non dice quale alleanza è disposto a fare, è un ipocrita, perché è impossibile governare da soli. Può non piacere, ma il principale protagonista di questo pasticcio ora dice che non dobbiamo allearci con nessuno. Detto questo, i 5 stelle stanno governando male e il loro rapporto con la Lega a mio avviso è innaturale, Salvini giorno dopo giorno gli toglie voti. Prima o poi dovrebbero capire che il loro è un suicidio politico.
Non è stato il Pd ad averli spinti con Salvini?
Per la verità, non è che Di Maio si sia fatto pregare. In quelle ore disperate, io e qualcun altro dicevamo ai 5 Stelle di aspettare almeno che il Pd si riunisse, che il no era l’opinione dell’ex segretario, non del partito. Non è bastato.
Sui flussi migratori sta con Delrio o con Minniti?
Sto con papa Francesco. Vuol dire aiutare chi ha bisogno, senza selezionare tra i laureati da tenere e gli scarti da buttare. Minniti ha tentato di arginare il fenomeno, facendo accordi che sono soluzioni tampone ma che hanno retto, consentendo ad altri di fare propaganda. Per governare i flussi ci vogliono politiche vere di cooperazione o cannoni sulle spiagge?
Il Tap sta spaccando M5s e potrebbe dividere la maggioranza.
Il Tap è l’ennesima dimostrazione del dilettantismo politico di M5s. Quello è il mio collegio e io mi sono sempre dichiarato favorevole a quel corridoio, anche se mi piacerebbe che alcuni interessi italiani venissero trattati meglio.
Cosa può dirci in proposito?
Emiliano ha condotto una trattativa non ufficiale per spostare l’approdo più a nord, attraccando nell’area industriale di Brindisi. Fino a 3-4 anni fa si poteva fare, sarebbe costato 350-400 milioni in più, si poteva trattare ma il governo era condiscendente verso i vertici di Tap. I 5 Stelle hanno perso l’occasione per fare la battaglia con noi e l’hanno persa, i no Tap non mi hanno votato perché ero a favore e ora sono loro ad avere perso la faccia.
Lei cosa proponeva?
Delle compensazioni: dateci il gas scontato al 50% per 10 o 15 anni e utilizzate il nostro territorio. Favorire il tessuto economico del paese è anche questo.
E adesso?
Spero che il governo sia all’altezza della trattativa.
Dovreste andare a congresso, ma tutto sembra incerto.
Andava fatto il 5 marzo. Da un mese Renzi e i suoi le provano tutte per non farlo celebrare. Con le dimissioni di Martina, tra l’11 e il 18 novembre si dovrebbe tenere l’assemblea, e poi iniziare la fase congressuale interna ai circoli. Bisogna finire tutto entro febbraio. Se Martina perde tempo il congresso rischia di saltare, ma Maurizio è una persona seria e non lo farà.
(Federico Ferraù)