E’ certamente legittima e comprensibile la preoccupazione sui rischi connessi al varo della nuova manovra economica italiana del governo giallo-verde. Inoltre, gli ex ottimisti dei tempi recenti (quelli del pre-elezioni del 4 marzo 2018) sono piombati in un pessimismo cosmico che sfiora il catastrofismo, di cui altri (in minoranza dal 1992) venivano accusati. Anche se bastava guardare conti e numeri, l’aumento dei poveri, la disoccupazione e la precarietà del lavoro, la mancata crescita e lo stato di “rancore” (lo si ricorda almeno il rapporto del Censis di un anno fa?) che covava tra gli elettori italiani, per rendersi conto che si andava verso rese dei conti di difficile soluzione.



Gli ex grandi quotidiani di un tempo andato (forse ha ragione un caro amico a dire che la professionalità giornalistica è ormai perduta) titolano perentoriamente: manovra, il no dell’Europa. 

I commentatori che imperversano da vent’anni sulle pagine dei “quotidiani influenti” analizzano il tutto prefigurando, adesso, dramma e pathos. Paradossalmente è forse questo neo-pessimismo autoreferenziale e  “sontuoso”  l’ultima speranza. 



C’è un commentatore e analista economico che non ne ha, come molti suoi amici “dentisti” (in senso keynesiano), azzeccata una che è una da quindici anni a questa parte. Nel 2007 ad esempio, sempre sull’ex grande quotidiano, scriveva che la crisi dei subprimes sarebbe stata risolta in due mesi. Sembrava l’emissario rimbambito di un’agenzia di rating il giorno prima che fallisse Lehman Brothers. Tutto bene. Complimenti.

In realtà, oggi siamo di fronte a una doppia preoccupazione. In un intreccio quasi perverso, la crisi italiana sembra un riflesso, percepito in modo più drammatico che in altre zone, della più vasta crisi dell’Unione Europea, anche se i neo-pessimisti su questo sorvolano, naturalmente concentrandosi solo sulla crisi italiana. Vedremo intanto che cosa accadrà domenica 14 ottobre in Baviera e il 28 ottobre in Assia, dove si voterà per le amministrative. Siamo curiosi non solo per i risultati ma per i commenti, oltre che per il nostro futuro. Perché queste consultazioni parziali sono per l’Unione Europea una sorta di snodo, si potrebbe definire lo “snodo bavarese”.



Al momento i grandi media italiani hanno scritto e parlato poco di queste due consultazioni. Ma le notizie riportate dalla stampa straniera sono inquietanti, non solo preoccupanti. 

In Germania, dopo le elezioni di un anno fa, il governo è zoppicante e, in alcuni ambienti, si osa dire che la signora cancelliera Angela Merkel, la “reginetta” della politica d’austerità, sarebbe “spacciata”. La definizione filtra da ambienti socialdemocratici tedeschi che sono altrettanto alla cosiddetta canna del gas, come vedremo. 

Tra agosto e settembre, quando è stato sostituito il capo dei servizi segreti, Hans-Georg Maassen, inviso alla Spd, il governo di Berlino ha sfiorato la crisi. Poi il 25 settembre è stato eletto a scrutinio segreto il nuovo capogruppo della Cdu-Csu al Bundestag. E’ stato nominato Ralph Brinkhaus, che va a sostituire quello che veniva definito il “cameriere” di frau Merkel,  Volker Kauder. Brinkhaus non è un “radicale contestatore” di Angela Merkel, ma un suo “insidioso critico” per alcune scelte proprio sull’Unione Europea. 

Fatto il punto sulla situazione di Berlino, piuttosto complicata, tutti guardano alla Baviera, territorio storicamente conservatore dell’ala di destra della Cdu, la Csu, i cristiano-sociali del mitico Franz Joseph Strauss, ora guidati dal ministro dell’Interno Horst Seehofer, che hanno appunto sempre rappresentato il ramo più di destra del partito centrista. Da Berlino si guarda alla Baviera con apprensione.

Ora, il grande territorio conservatore del sud della Germania, il vecchio “grande elettore” dell’Impero, sembra aprire una nuova “guerra dei 30 anni”. In Baviera la Cdu-Csu (si presentano federate) alle ultime amministrative di quattro anni fa raggiunse come al solito, storicamente, il 44,5 per cento. La sorpresa è arrivata dai sondaggi di questi giorni che parlano di una Cdu-Csu in caduta libera, addirittura accreditata tra il 33 e il 35 per cento, mentre un autorevole commentatore del Financial Times la considera addirittura di poco superiore al 30 per cento. 

I socialdemocratici, ormai avvolti nella crisi cronica del dopo-Schroeder, arriverebbero al 13 o 14 per cento, incalzati dai populisti di derivazione filo-nazista di AfD, che si fermerebbero tra l’11 e il 12 per cento. Poi ci sarebbe (quasi una consolazione) la grande avanzata dei Verdi, che balzerebbero addirittura al 18 percento, in pratica un raddoppio di protesta e di ultima speranza. 

Dopo che le elezioni politiche di un anno fa, quando Cdu e Spd sono scesi ai minimi storici a livello nazionale, un risultato, come quello previsto dai sondaggi per la Baviera, e probabilmente anche per l’Assia il 28 ottobre, significherebbe un terremoto politico con ripercussioni sullo stesso governo nazionale e quindi, a cascata, su Bruxelles e l’Unione Europea.

Con una Baviera dove potrebbero andare all’opposizione Cdu-Csu insieme ai socialdemocratici, a meno di un tripartito da inventare, quale equilibrio politico si presenterebbe nella coalizione tradizionale e tranquillizzante a Berlino?  Certo Seehofer, il critico della Merkel, perderebbe la sua battaglia (in casa sua) e forse dovrebbe pensare di dimettersi, ma la Merkel sarebbe ancora più indebolita, dopo il difficile accordo raggiunto con Seehofer l’anno scorso, e come leader di un partito, quello cristiano-democratico e sociale, che sembra nelle perdite simile al Partito democratico italiano. Insomma, un risultato così negativo come prevedono i sondaggi sarebbe letale per l’accoppiata dell’accordo del governo nazionale, sia per la Merkel sia per Seehofer.

In più, per Angela Merkel ci sarebbe ormai l’immagine di una leader di coalizione che sembra in rotta completa. L’aggettivo “spacciata” è forse forzato e presuntuoso, considerando da che ambienti viene, ma non è affatto privo di fondamento.  

Facciamo qualche considerazione, a questo punto, in un quadro internazionale confuso e incerto. Poniamoci intanto una domanda: è più pericolosa la manovra italiana, più difficile il problema dei conti pubblici italiani, oppure una crisi politica della Germania, l’indiscussa leader della politica dell’Unione Europea? 

La risposta è seria e problematica. Difficilmente si può fare un quadro convincente, che faccia almeno comprendere in quale direzione si stia andando e quale nuovo equilibrio si possa trovare in sede europea e internazionale. Possiamo invece convenire su un punto: lo scontro che si terrà alle prossime elezioni europee della primavera 2019, vedrà due partiti contrapposti e speculari negli errori, che hanno entrambi sposato una politica sbagliata, che hanno inanellato un errore dopo l’altro e che adesso cercano di giustificarsi addossandosi reciprocamente le colpe. Le preoccupazioni quindi si accavallano e si moltiplicano, ma per motivi precisi che andrebbero giustamente documentati.

Sostanzialmente, ormai, si può fare un piccolo bilancio: la svolta ordoliberista e neoliberista ha prodotto danni che sono facilmente calcolabili e i partiti di sinistra non sono neppure scesi in campo per contestare la sequenza di scelte impopolari e sbagliate, pagando così con risultati elettorali disastrosi. Quanto sarebbe stato necessario un partito realmente e storicamente riformista, che avesse aperto a spinte liberali, ma avesse conservato la sua vocazione di controllo e correzione del capitalismo.

La reazione alla politica di Bruxelles e della leadership franco-tedesca è stata invece lasciata nelle mani dei cosiddetti e genericamente classificati “populisti”, con  una riscoperta generale, sia da destra, sia trasversale nell’elettorato, e anche in alcuni ambienti di sinistra, della funzione dello Stato nazionale e della politica economica nazionale. 

Il paradosso degli attuali protagonisti dell’Ue, come Junker e Moscovici (rappresentanti del grande establishment che governa l’Europa), destinati alla pensione politica, è che, nel nome dell’unità e quasi dell’unanimità (decisa da Germania e Francia), scandita in modo tassativo, hanno fatto riscoprire le differenze nazionali  e in certi casi addirittura i particolarismi. 

Ma che cosa ci si poteva aspettare di diverso quando un Paese come l’Italia viene paragonato alla Grecia (che ha un Pil come quello della provincia di Treviso) e si affida la credibilità sui conti di un Paese a delle agenzie di rating che sono private, e che in più sono partecipate e quindi finanziate abbondantemente da grandi banche d’affari. Insomma quando il rating non è altro che la lunga mano della banca d’affari.

Si aggiunga a questo il fatto che la crisi non è mai stata veramente e interamente superata, non solo in Italia, e che oggi emergono segnali di frenata economica in tutta Europa, Germania compresa. Senza contare infine un disordine e un’anarchia finanziaria che è paragonabile a quella del 2007. Perché, ad esempio, non viene mai fuori un calcolo preciso dei cosiddetti derivati?

Mettiamoci poi, dopo queste considerazioni, la ricerca di un nuovo assetto geopolitico, con gli Stati Uniti e la Russia in contrapposizione all’Unione Europea su diversi punti, e una Cina che sembra orientata solo ai suoi investimenti in tutto il mondo. 

Di fatto la globalizzazione, che doveva risolvere tutto, è in grande frenata. Lo si vede negli scambi e nel commercio internazionale. 

Quale tipo di realtà ci attende a questo punto? Come si diceva prima è difficile dare una risposta, ma il periodo in cui stiamo vivendo assomiglia metaforicamente a quello della “guerra dei trent’anni”, con aspetti tragici e farseschi come in tutti ricorsi storici.

Lo “snodo bavarese” potrà chiarire alcuni aspetti importanti del prossimo futuro. In tutti i casi, in vista delle elezioni europee, che sarà la vera resa dei conti, difficilmente si potrà superare una spaccatura profonda nell’elettorato europeo. Si spera che salti fuori un nuovo ordine mondiale magari con una riedizione della pace di Westfalia. 

Solo che i protagonisti avevano altro spessore. Difficile immaginare Emmanuel Macron nelle vesti di un “doppio giocatore”, spregiudicato ma abile come Richelieu, o Pierre Moscovici nelle vesti del grande “inviato segreto” del cardinale, Padre Giuseppe. 

Siamo purtroppo arrivati agli epigoni sgangherati della grande politica del dopoguerra, agli improvvisatori che vivono sotto molti cieli d’Europa e agli “odontoiatri” dell’economia come diceva un grande che se intendeva, John Maynard Keynes.