Breve spillo di bare journalism, di “nuda cronaca”: a prova di ogni fact-checking anti-fake news. Il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, ha dichiarato in un’intervista: “Salvini sboccato con la Ue” (dal titolo Ansa). Lo ha detto a un quotidiano austriaco tre giorni dopo che il vicepremier italiano ha fatto la seguente affermazione su Juncker nel corso di un talk-show televisivo: “Questo signore è il capo del governo di 500 milioni di europei, un signore che arriva da un paradiso fiscale come il Lussemburgo. Se cercate su Google Juncker ‘sobrio’ o ‘barcollante’, vedrete immagini a volte impressionanti”.
In qualunque scuola di giornalismo dove il libero giornalismo vive in democrazia — in Italia, in Lussemburgo, in Europa, negli Usa — utilizzerebbero il case-study per insegnarvi che:
a) l’affermazione iniziale di Salvini si è esposta di per sé a rischi elevati di fact-checking — sul piano legale e su quello politico — per lui e per chiunque l’abbia poi riportata (anzitutto per i media), a maggior ragione per i ruoli ricoperti dagli interessati;
b) la replica di Juncker — con un ritardo di tre giorni — è equivalsa a una conferma della fattualità affermata da Salvini;
c) il tenore puramente giornalistico — e di affettata nonchalance — della replica di Juncker ha sotteso che il presidente uscente della Commissione di Bruxelles non giudica l’affermazione di Salvini meritevole di pretesa di scuse (livello politico-diplomatico) o di tutela legale civile o penale (livello personale).
Fin qui i fatti e l’analisi tecnica dei fatti. Da qui in poi alcune “opinioni separate dai fatti”.
Se qualcuno vi desse in pubblico dell'”ubriacone”, vi limitereste a trattarlo da “maleducato” 72 ore dopo? Se voi foste Juncker — leader dell’esecutivo Ue — alla JFK School of Government di Harvard molto probabilmente alzerebbero di scatto le sopracciglia. Vi farebbero subito notare la vostra replica vi incollerebbe addosso i panni di “re travicello”. Un commentatore internazionalmente rispettato come Stefano Folli, a proposito di Juncker, Merkel e Macron ha parlato di “decadenza”; “crisi istituzionale profonda”, “credibilità incrinata”. Giornalisti “sboccati” potrebbero parlare dell’eurocrazia (dal vicepresidente Dombrovskis al commissario Moscovici) come di un mazzo di burattini manipolati per anni del governo tedesco prima di essere abbandonati al loro inevitabile destino: come i collaborazionisti francesi di Vichy.
Ps n. 1: un presidente della commissione Ue che avverte l’opinione pubblica europea di “attenzionare” l’Italia su un giornale austriaco a due settimane dal voto amministrativo in Alto Adige, allorché il governo di Vienna insiste sul rilascio del doppio passaporto agli altoatesini di lingua austriaca, sta interferendo negli affari interni di un paese fondatore della Ue (anzi, di un paese europeo degno di questo nome, non di un folkloristico granducato offshore). Per questo, a cent’anni dall’autunno 1918, sarebbe dovuto che il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, dicesse qualcosa, si facesse venire in mente qualcosa da dire, possibilmente prima di tre giorni. E assieme a lui Federica Mogherini, ministro degli Esteri nel governo italiano (“quota rosa” come Emma Bonino) e dal 2014 Alto rappresentante della Ue per gli affari esteri e la sicurezza nella Commissione Juncker. In caso contrario si sarebbe autorizzati ad arguire che Tajani sia rimasto il portavoce Fininvest che era in gioventù e che Mogherini abbia sbagliato carriera e voglia ora “affrontare nuove sfide nella vita” (direbbero i giornalisti politicamente corretti): forse imitare l’ex collega Maria Elena Boschi come cover-girl di riviste patinate.
Ps n. 2: Paolo Gentiloni — subentrato alla Mogherini alla Farnesina e poi a Matteo Renzi a Palazzo Chigi — ha dissimulato nei giorni scorsi l’ipotesi di una “candidatura di punta” per il Pse alle prossime elezioni europee. Molti italiani — non solo nell'”ex Pd” — si augurano che ci possa ripensare.