Toscana, Toscana ed ancora Toscana. Dopo la riconquista renziana del fortino mediceo con l’imposizione ed elezione della neo-segretaria regionale Pd Simona Bonafè e le grandi manovre interne alla Lega per annettere definitivamente gli ultimi rimasugli del centrodestra che fu e tentare la scalata a Palazzo Vecchio, il vero “trono” toscano, qualcosa sembra muoversi anche a sinistra. Ovvero in casa Rossi.
Il governatore che per primo aveva osato sfidare l’ex sindaco allora sulla rampa di lancio imponendo, di fatto, la sua ricandidatura a governatore della Toscana (correva l’anno 2014) e che dal giugno 2015 — mese della sua riconferma alla giuda della Regione — indossò i panni dell’antirenziano Doc (dapprima autocandidandosi, assai prematuramente e con scarsissimo successo, alla segreteria del Pd per poi confluire, con molte riserve (le stesse che gli altri nutrivano nei sui confronti) in Liberi ed Uguali da cui prese subito le distanze per divenire il promotore del “partito del lavoro”), adesso tenta l’ultima giravolta doppio-carpiata: rientrare nel Pd.
E lo fa nel momento apparentemente peggiore, nel quale Renzi ha rialzato la testa confermando il suo potere tra le fila della rossa Toscana. Eppure adesso è per Rossi il momento più opportuno!
Procediamo con ordine.
Rossi intende candidarsi alle elezioni europee ma con un partito che gli permetta preferenze sufficienti per essere eletto. E a sinistra l’unico partito che ha un tale bacino di preferenze è il Pd.
Allo stesso tempo Renzi, tornato granduca, esige la candidatura di un renziano a presidente della Toscana liberandosi una volta per tutte dell’ingombrante ex-renziana, vicepresidente ed assessore regionale alla salute Stefania Saccardi. Ritenuta da molti la candidata in pectore a succedere allo stesso Rossi.
Il gioco è fatto: tu dai una cosa a me ed io do una cosa a te. Rossi defenestra la Saccardi e viene riaccolto dal Pd fiorentino che lo appoggia per la candidatura alle europee della prossima primavera.
Lineare Watson! Tanto che nei palazzi della Regione si parla sempre più apertis verbis di rimpasto.
E tutto per il duro scontro che, guarda caso, Rossi ha innescato —strumentalmente — con la Saccardi sull’intramoenia, ovvero sulla possibilità per i medici dipendenti del Sistema sanitario nazionale di esercitare la libera professione in ospedale. Rossi improvvisamente è divenuto contrario, mentre l’assessora è per lo status quo.
Scontro ideologico: la migliore scusa per evidenziare un’incompatibilità di vedute tale da scatenare un’autentica bagarre e parole dure della stessa Saccardi: quando vedrò il testo della proposta di legge (del presidente) la valuterò.
Come dire: io non parlo più con quello lì.
Il dado è tratto. Adesso si attende il voto in giunta. Ma quella parolina magica, “rimpasto”, che Rossi aveva sempre avversato ormai riecheggia in tutta Firenze. E molti, nel giglio magico molto “potato”, scaldano i motori per una poltrona che, nei mesi prossimi, diventerà “la poltrona”.
Infatti con l’eventuale elezione di Rossi al Parlamento europeo le redini del governo regionale sarebbero affidate al vicepresidente fino alla naturale scadenza del mandato ossia al giugno 2020.
Quindi se Rossi vuol meritarsi un posto in Europa da candidato Pd ha solo una chance: “dimettere” l’ex renziana Saccardi e sostituirla con il nome che indicherà Simona Bonafè, ovvero Renzi.
Un percorso che appare assai ben avviato.