Con l’accordo della Gran Bretagna sul Brexit ora la Ue può concentrarsi sull’Italia. Qui il ponte Morandi di Genova non ancora demolito e Roma sepolta dalla spazzatura e dall’inefficienza sono diventati il simbolo visivo di un’immobilità che pare fatta apposta per suggerire interventi pesanti da parte della Ue, stufa delle paturnie italiche.



Se quindi con un paese fortemente strutturato ed energico come il Regno Unito l’Unione Europea ha prevalso, con l’Italia riottosa passerebbe come sul burro.

Però potrebbe non essere proprio così. Gli accordi della Ue sono strutturati in modo tale da rendere molto difficile, se non impossibile, uscire dall’Unione, e invece da favorire maggiore integrazione economica e politica tra stati membri.



Di fatto, come è stato chiaro ai britannici, una loro uscita vera dall’Unione sarebbe stata tecnicamente molto difficile e avrebbe messo a rischio l’unità stessa del Regno Unito. Qui le spinte centrifughe di Irlanda del Nord e Scozia si sarebbero esasperate. Il Brexit era dunque una scommessa tecnicamente e politicamente impossibile, che si è risolta poi meglio di come avrebbe potuto essere.

Questo il retroterra su cui poggia la manovra di bilancio in corso. Nei giorni scorsi anche Francesco Giavazzi, molto critico con questa manovra, ha scritto che il punto è non il decimale in più o in meno ma l’incertezza dell’effetto moltiplicatore delle singole voci di spesa. Cioè lo spirito della manovra, stimolare la crescita e così sperare di far diminuire il deficit, non è in questione.



Infatti questo governo, al di là dei titoli di molti giornali, però non ha mai chiesto l’uscita dall’euro, e anche il celebrato “piano B” era questo, un piano “B”. Il piano A era ed è restare in una Ue riformata e più forte. Quello che il governo italiano ha richiesto (maggiori poteri alla Banca centrale europea, maggiori poteri al parlamento europeo e alla commissione, integrazione finanziaria, eccetera) sono tutti elementi favoriti dagli accordi in essere dell’Unione.

Contro tutto questo Bruxelles può opporsi, forte di una maggioranza di paesi favorevoli allo status quo, ma ha i trattati contro. Cioè: il Regno Unito aveva contro i trattati, forti divisioni nel suo territorio e la maggioranza dei paesi membri. L’Italia ha a suo favore i trattati ma contro una maggioranza qualificata di paesi cardine dell’Unione. A suo favore Londra aveva uno Stato forte, Roma invece ha uno Stato destrutturato.

In teoria l’Italia, che si oppone alla Ue per la sua legge di bilancio, potrebbe essere messa meglio della Gran Bretagna con Bruxelles. La strategia è più giusta. L’opposizione è la stessa, la forza dei due paesi è molto diversa.

Il governo non può ricostruire l’Italia in un giorno, se mai ciò fosse possibile, ma dovrebbe strutturarsi, cosa che evidentemente non sta avvenendo. Inoltre deve costruire ponti importanti non con paesi a maggioranza sovranista, interessati principalmente a difendersi dalle prevaricazioni di Bruxelles, ma con gli azionisti forti dell’Unione. Questi — Germania, Francia — hanno il peso per spingere avanti o indietro l’Unione.

Né se vinceranno domani i sovranisti in Francia o Germania migliora il quadro per gli pseudo-sovranisti locali della Lega. Sovranisti francesi e tedeschi non vogliono salvare l’Italia, esposta al confine con l’Africa in ebollizione e all’interno con un debito pubblico vicino al tracollo. I sovranisti esteri da un lato hanno ogni interesse oggettivo a scaricare l’Italia, e a metterla sotto tutela, per non essere contaminati dagli immigrati o dal debito; dall’altra vogliono ricevere oggi tutto il sostegno possibile dall’unico sovranista al potere in un paese importante, Salvini. Cioè gli abbracci di Salvini con i suoi confratelli politici sono di fatto a senso unico.

Questa selva di errori nelle percezioni e nel movimento affossano e affosseranno qualunque strategia italiana forse giusta con la Ue. Se la correzione della strategia generale non avviene in fretta, Bruxelles, sollecitata dal successo con Londra, avrà ogni interesse a chiudere il prima possibile una partita con Roma, prima delle elezioni europee di maggio.

Bruxelles deve dimostrare che i sovranisti di ogni risma e razza, da quelli inglesi a quelli padani, sono sconfitti sul campo. Questa è la maggiore garanzia che non vinceranno in Germania o Francia, dove potrebbero fare molti più danni che a Roma.