Sui rifiuti in Campania hanno torto entrambi. Salvini perché annuncia nuovi termovalorizzatori sapendo che il solo evocarli accende gli animi e ridà fiato al partito del No-a-Tutto. Specularmente, ha torto anche Di Maio che dopo aver ceduto al suo alleato praticamente ogni cosa (dal Tap al decreto legalità) tenta di rianimare i suoi agitando i temi più sensibili del Movimento.



Vediamo invece come stanno realmente le cose. La Campania produce circa 4mila tonnellate di rifiuti al giorno, qualcosa in meno di 10 anni fa, da quel fatidico 2008, quando i rifiuti abbandonati per giorni in strada a Napoli distrussero la reputazione di Bassolino, costringendolo al ritiro.

Di questi 4mila ben 1.600 vengono quotidianamente eliminati dal termovalorizzatore di Acerra. Un gioiellino di cui si parla molto poco. Preso in gestione nei giorni caldi della crisi da A2A, ha raggiunto negli anni risultati più che soddisfacenti. Intanto le due linee di produzione (la terza di riserva è usata durante le fasi di manutenzione) producono meno di un millesimo della diossina prodotta dai forni a legna dalle 2.600 pizzerie napoletane, di cui nessuno si permette ovviamente di verificare la nocività.



Acerra non solo non ha mai creato problemi ma ha fatto ottimi risultati economici. Ogni anno finiscono nelle tasche di A2A oltre 40 milioni di utili che vanno a rimpinguare le casse dei comuni azionisti di Milano e di Brescia.

Il problema vero riguarda le restanti tonnellate che sono mal gestite: in primo luogo, con l’incremento della differenziata, la Campania produce — ma la questione riguarda anche altre regioni italiane — una quantità enorme di “umido” di cui non sa che farsene. Non disponendo di impianti idonei per la trasformazione in prodotti utili ad esempio all’agricoltura, questa grande quantità di rifiuto organico viene rimandato in discarica — ce ne sono poche in giro per l’Italia — a costi assai elevati. Da anni si parla di realizzare circa 10 biodigestori per trattare 400 tonnellate di frazione umida, ma fino ad oggi nulla si è mosso, con ulteriori costi per la collettività. Sorte simile è riservata anche alla parte rimanente di indifferenziato, che viene inviata negli impianti del Nord e di mezza Europa.



Il vero bubbone della Campania rimangono però le famose ecoballe. Esse furono accantonate in attesa della realizzazione di Acerra, e sono lì in bella mostra dal 2006. Nel 2015, appena insediato De Luca nuovo governatore, Renzi in persona venne a Napoli per annunciare uno stanziamento straordinario di 450 milioni per far sparire al più presto le montagne di rifiuti disseminate nei 7 Stir della regione. Un impegno che De Luca — nonostante i quattrini — non è riuscito ad onorare: ad oggi solo il 4% è stato spedito fuori dall’Italia, poi nessuno paese ha voluto più collaborare.

Eppure anche in questo caso la soluzione sarebbe a portata di mano. A2A ha fatto sapere da tempo che con la realizzazione di una quarta linea all’interno del sito di Acerra le balle potrebbero essere trattate in loco. Ci vorrebbe qualche anno, ma la soluzione sarebbe efficace da ogni punto di vista. Le balle una volta aperte si sono rivelate meno pericolose del previsto, ma soprattutto il rifiuto secco contiene sufficiente valore calorico. Se poi ad Acerra venissero prolungate le facilitazioni previste dal CP6 per qualche anno ancora, questa operazione non solo non costerebbe un euro ai contribuenti, ma molto probabilmente renderebbe alla Campania una cifra pari a quella che si voleva spendere.

Inoltre si doterebbe la regione di una nuova linea che nel tempo potrebbe aumentare la capacità del termovalorizzatore da 1600 a 2400 tonnellate al giorno: più che sufficienti per risolvere ogni problema.

Se poi come previsto si realizzassero gli impianti per l’umido, e gli stir — da 12 anni ridotti a depositi di balle — tornassero alla loro originaria funzione di vagliatura dell’indifferenziato, la soluzione diverrebbe definitiva.

Ovviamente c’è un se. Infatti se in questo scenario apparentemente semplice non si adeguano norme e vincoli legislativi, non si potrà mai avere un governo efficace dell’ambiente.

Ecco, se i nostri vice-ministri volessero proprio dare una mano, invece che litigare, potrebbero impegnarsi a cambiare queste poche ma precise norme, davvero necessarie per aiutare la soluzione del problema.