C’è molto di più dietro quella che sembra una scaramuccia di giornata in punta di fioretto fra il Quirinale e Palazzo Chigi, il richiamo del presidente della Repubblica al governo a non sottrarsi al confronto con le istituzioni europee sulla manovra economica. Giuseppe Conte ha risposto ponendo l’accento sul rilancio della crescita e dell’occupazione, pur assicurando la volontà di dialogare con Bruxelles. Troppo poco. Non finisce qui.



La preoccupazione del Capo dello Stato è crescente, e si traduce nell’infittirsi dei suoi richiami a non devastare l’equilibrio dei conti pubblici. Un monito che vale per l’oggi e per il domani. Si badi bene: non c’è intenzione di contrapposizione frontale nella lettera con cui Mattarella ha accompagnato la firma al disegno di legge di bilancio. Non si entra nel merito delle singole misure contenute nella manovra, ma è il quadro complessivo a non convincere. Le parole del presidente sono pesate una ad una: indica “l’obiettivo di una legge di bilancio che difenda il risparmio degli italiani, rafforzi la fiducia delle famiglie, delle imprese e degli operatori economici e ponga l’Italia al riparo dell’instabilità finanziaria”.



Primo rischio le turbolenze, l’ottovolante dello spread, l’attacco della grande speculazione. Difendere l’Italia da questi rischi viene persino prima della manovra espansiva, agli occhi di Mattarella. E allora il richiamo diventa forte, sostanziandosi in articoli della Costituzione che tutelano non solo il risparmio e l’equilibrio dei conti pubblici, ma — ed è una novità — anche il bilancio sano in relazione agli obblighi europei (articolo 97, mai citato prima). Quasi un obbligo quindi a tener presente le osservazioni e le richieste avanzate dalla Commissione europea, così come le critiche negative dell’Ufficio parlamentare di bilancio, creato a sua volta in virtù di una legge costituzionale del 2012.



È come se Mattarella parlasse oggi per domani: se il governo dovesse ignorare le critiche mosse alla manovra, nessuno potrebbe dire che il Quirinale non aveva avvertito. Una volta convertita in legge, si potrebbe arrivare al rinvio della stessa alle Camere. Cosa mai accaduta per una legge finanziaria.

Accadrà davvero? Impossibile pronosticarlo oggi. Ci sono una cinquantina di giorni di tempo prima che la legge di bilancio torni al Quirinale per la firma. Da qui ad allora molte cose possono cambiare, sia nel corso della navigazione parlamentare, sia nella contrattazione con Bruxelles.

Nella difesa della manovra, del resto, la maggioranza non sembra affatto granitica. Soprattutto dalle parti della Lega i dubbi serpeggiano. Non è un mistero che il potente sottosegretario Giorgetti starebbe premendo per un approccio più graduale intorno alle misure di spesa più impegnative. Sin qui però è rimasto inascoltato, soprattutto dal versante 5 Stelle. Di Maio e soci sono con l’acqua alla gola, stanno incassando colpi uno dopo l’altro (sì all’Ilva, sì al gasdotto Tap, sì al condono per Ischia, sì al Muos in Sicilia, e chi più ne ha più ne metta). Se il 10 novembre dovesse arrivare anche la condanna in primo grado di Virginia Raggi, il rischio di implosione rischierebbe di concretizzarsi. Da qui la necessità di una bandiera da sventolare, il reddito di cittadinanza, da approvare costi quel che costi.

Al contrario dei grillini, la Lega ha una visione che va più avanti nel tempo e non avrebbe problemi a scaglionare le misure più costose. Il suo elettorato capirebbe, se questo dovesse evitare lo spread alle stelle e le procedure d’infrazione europee. Ecco perché la pressione per cambiare la manovra, magari smussando di un paio di decimali quel 2,4% tanto indigesto a Bruxelles, alla fine potrebbe avere un esito positivo grazie alla spinta concentrica del Quirinale, delle istituzioni europee, dei mercati e delle categorie produttive, che chiedono a gran voce da settimane maggiore prudenza al governo.

Da qui all’approvazione della legge di bilancio poi si farà più chiaro anche il quadro dei rapporti interni a una maggioranza dove ogni provvedimento provoca mal di pancia profondi, come il blocco della prescrizione nei processi (Lega) o la riforma della legittima difesa (5 Stelle). Il prosieguo della navigazione gialloverde si deciderà alla fine dell’anno.

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