Il termometro che misura la temperatura nel governo sono le parole di Luigi Di Maio di qualche giorno fa, quando si chiedeva perché Matteo Salvini avesse deciso di “provocare tensioni” nell’esecutivo. Finora i due vicepremier non hanno mai enfatizzato le divisioni ma sempre sottolineato che sarebbe arrivato un accordo a comporre le diversità di opinioni. Stavolta il capo politico dei 5 Stelle ha preso una strada diversa. Segno che la temperatura è molto elevata e che i due non sanno se riusciranno ad abbassarla.



La polemica sui termovalorizzatori ha scavato un solco testimoniato da un botta e risposta infuocato. I due vicepremier hanno combattuto a distanza rimbeccandosi punto su punto. Salvini si è presentato ieri in Campania dove il premier Conte aveva riunito mezzo governo, quello di parte grillina; ha firmato il protocollo d’intesa ma ha disertato la conferenza stampa. Ha parlato di “questione culturale” che separa le soluzioni all’italiana (in realtà “alla Di Maio”) da quelle adottate nei Paesi europei. Di Maio ha tirato fuori la famiglia e i fumi di Acerra avvertiti a Pomigliano d’Arco. Una schermaglia interminabile da entrambe le parti.



Il duello si è poi spostato sul piano politico. Ed è questo il fatto nuovo di ieri. Salvini a Milano ha ribadito di avere un accordo per le elezioni regionali con il centrodestra e che lo onorerà. Di Maio ha replicato che con la Lega non c’è un’alleanza ma un contratto, ed è legittimo che gli alleati si organizzino per conto loro, così come il M5s si organizzerà contro di loro. Dopo aver ammesso l’esistenza delle tensioni, il vicepremier grillino ribadisce che con la Lega la competizione elettorale è aperta e sarà combattuta senza esclusione di colpi. Salvini ha indirettamente confermato quando ha dichiarato: “Andrò fino in fondo, se non mi fermano prima”. Il rischio di uno stop si fa concreto.



È chiaro che la parata governativa sui termovalorizzatori in un momento in cui in Campania non esiste una particolare emergenza rifiuti è una mossa elettorale, un tentativo di rilanciare uno dei temi cari ai grillini e soprattutto un modo per distogliere l’attenzione dei media dalle vere questioni che ieri dovevano tenere banco: la crisi con l’Europa, il balzo dello spread, il flop – il primo dopo sei anni – nella collocazione di Btp, segno di una sfiducia crescente dei mercati. Il ministro dell’Economia è stato lasciato completamente solo a Bruxelles in un frangente in cui l’Italia doveva mettere sulla bilancia della trattativa tutto il suo peso. Meglio la terra dei fuochi che la terra dei conti. E il povero Tria è apparso in grave difficoltà, isolato da tutti i partner, a partire da quelli più sovranisti come l’Austria, presidente di turno. D’altra parte, non si capisce perché un Paese sovranista debba esprimere una qualche solidarietà, parola sconosciuta al vocabolario nazionalistico.

Nel momento in cui dovrebbe esprimere la massima coesione, il governo è nel massimo caos anche in Parlamento, dove un gruppo di grillini insiste per modificare il decreto sicurezza targato Lega prima della definitiva conversione. Tutto lascia pensare che sia partito il duello a chi resterà con il cerino in mano nell’aprire la crisi.