E se dovesse davvero saltare la casella “Savona”, nonostante la smentita del diretto interessato? Se, cioè, il Governo dovesse perdere quel ministro dell’economia in pectore tanto inviso al Quirinale, oggi divenuto il più presidenziale ed europeista dei ministri?

Al netto dei paradossi — talora comici — della politica italiana, le dimissioni del ministro per gli Affari europei — se non domani, dopodomani chissàriaprirebbero la partita del Governo. Non certo per una sua caduta, come tanti pronosticano anche in queste ore compreso lo stesso Savona: «Va cambiato il Governo non solo la manovra». Né, tantomeno, per un imminente ritorno alle urne: passaggio mai formalmente contemplato dal Colle (in questa chiave potrebbe essere letta la recentissima visita del Cav al Quirinale) ed ormai scartato anche dal leader leghista.



Anzi, l’uscita di scena del ministro Savona potrebbe portare ad un rafforzamento del Governo con due possibili soluzioni, entrambe “polpette avvelenate” per il Movimento grillino: l’entrata al Governo di Fratelli d’Italia o l’entrata in maggioranza di tutto il centrodestra compresa Forza Italia.

Molto dipenderebbe dalla forza dei due leader al Governo Di Maio e Salvini nel saper gestire un passaggio che si preannuncia non proprio indolore. Per il ministro dello Sviluppo economico il “rospo” meno indigesto sarebbe senza dubbio l’innesto in maggioranza dei meloniani, con la leader di Fratelli d’Italia ottima per la poltrona di interlocutore con l’Europa. Ma questa decisone potrebbe sancire, per altro verso, la definitiva rottura dell’alleanza con Forza Italia e decretare anche formalmente la sepoltura del centrodestra con tutto ciò che potrebbe comportare a livello regionale e locale sia nelle giunte già in essere, sia — sopratutto — per le elezioni amministrative della prossima primavera.



Altra ipotesi, assai più semplice per Salvini ma decisamente più amara per Di Maio potrebbe essere quella di uno sbarco nel Governo delle due compagini: FI e FdI. In questo ipotetico orizzonte potrebbero essere inquadrati due eventi apparentemente distanti ma più vicini (anche temporalmente) di quanto si possa pensare: i recentissimi buoni rapporti — con scambio reciproco di attestati di stima — tra Di Maio e Tajani ma anche il frettoloso rientro in Italia del “guerrigliero rosso”. Quel Di Battista che vede come fumo negli occhi un’alleanza con il Cav.

Un rimpatrio forzato che potrebbe acuire le tensioni interne al Movimento e provocare persino una scissione, ma dopo le elezioni europee. Semplicemente perché ciò gioverebbe a tutti: a Di Maio, perché gli permetterebbe di salvare la faccia assieme al suo ruolo di vicepremier e di portavoce del Movimento. A Di Battista, perché potrebbe nel frattempo farsi eleggere in Europa con i voti dell’intero partito grillino per poi capeggiare da parlamentare europeo al primo mandato (Di Maio invece è al secondo mandato da parlamentare nazionale e quindi, a termini di statuto, uscente) la faglia sinistra del movimento, in vista di un’eventuale scissione.



Scenari comunque complicati destinati, ciononostante, a turbare i sogni di molti ed a innescare dinamiche imprevedibili come l’alleanza tra Pd e FI nel caso di Meloni al Governo senza Berlusconi o tra Pd e la sinistra del Movimento 5 Stelle capeggiato da Di Battista: il “comunista-post moderno” di cui il Nazareno ha vitale bisogno.