Schermaglie, attese, avvertimenti, lettere, adunate e risse parlamentari a voce con cartelli esposti in seduta, con annessi battibecchi televisivi in sempre più noiosi talk-show. E’ l’attuale palcoscenico politico italiano.

La sensazione è che la sceneggiatura non cambi la sostanza dell’ormai inevitabile questione: sono tutti in attesa, incerti, ma pronti a giocare una partita a scaricabarile, preparati a costruirsi alibi di carattere politico e sui numeri di un’economia zoppicante, con una ripresa che non arriva mai e pure con l’ombra lunga di un rallentamento a livello mondiale; quindi fari puntati sulle scadenze elettorali, da quelle americane di midterm a quelle più inquietanti per tutti, quelle che faranno comprendere il futuro del continente, le elezioni di fine maggio del Parlamento europeo.



Sono in pochi ad ammettere, o magari a parlarne solo sottovoce, che le scelte economiche di questi ultimi vent’anni, cominciate con la grande svolta liberista degli anni Ottanta, hanno provocato sconquassi sociali e politici incredibili, che poi sono emersi improvvisamente e culminati nella crisi devastante del 2007.



Se negli Usa l’euforia economica ritorna con il protezionismo (paradossale in epoca di globalizzazione!) di Donald Trump e le correzioni lasciate a metà, ma sorrette da un deficit per un anno portato al 9 per cento dallo stesso Barack Obama, in Europa l’ottusità dell’austerity, unita ad altri fenomeni come migranti e corruzione dilagante, non più solo partitica, sta producendo uno sconvolgimento politico e sociale che sembra incomprensibile all’attuale establishment.

La crisi politica e sociale è figlia diretta del fallimento economico, anche se si fa finta di nulla e si continua a vivere nell’ipocrisia.

I punti più caldi del sovvertimento europeo, ma che ha anche inevitabili connotati geopolitici mondiali, sono in questo momento l’Italia, con un governo dichiaratamente “populista” (dizione nuovista che ha significati vari e in parte inesatti) e la stessa Germania, la guida dell’Unione Europea uscita da Maastricht, con i suoi parametri piuttosto assurdi e stravaganti, con le sue politiche prima viste con grande entusiasmo e ora invece con profonda disillusione.

La “grande casalinga”, Angela Merkel, dopo aver chiesto più produttività, chiedendo sacrifici a molti partner, in un’Europa ricca che aveva creato un grande welfare, perde elezioni al ritmo di Matteo Renzi, annuncia che lascia la leadership della Cdu e programma il suo ritiro nel 2021. Un’uscita di scena troppo programmata, proprio alla tedesca, che invece dovrebbe tener conto dell’equilibrio politico ormai incerto della Germania (anche se qualcuno si culla con l’avanzata verde e il miracolo che la Deutsche Bank avrebbe superato gli stress test dell’Eba) e appunto il risultato delle elezioni europee sullo sfondo, che potrebbero partorire lo sconquasso di un’Unione che appare lacerata, dopo essersi concentrata solo su una moneta che non convince più come prima.

Forse, proprio il risultato delle europee di fine maggio potrebbe scompaginare vacanze, ritiri, programmi ed equilibri politici molto prima di quanto si pensi.

E’ in questo quadro di incertezza e confusione che ci si muove anche in Italia. Da tempo, dopo il governo del “funzionario europeo” Mario Monti (recordman storico del nostro debito pubblico), l’Italia è in rotta di collisione con la politica europea. Anche Renzi e il centrosinistra alzavano la voce in cambio di flessibilità, ma il governo gialloverde ha scatenato quasi una rissa a parole, a insulti con alcuni commissari e qualche capo di Stato, più un incrocio di corrispondenza al veleno.

Dopo le dispute sui migranti, è stata la manovra finanziaria a provocare il putiferio. E gli scenari si sono moltiplicati.

L’Europa chiede un rispetto scrupoloso degli accordi e dei parametri, sostenendo che nella manovra italiana non ci sono le coperture necessarie, non c’è una politica di contenimento del debito, c’è un deficit troppo alto per chi ha un stock di debito grande come quello italiano.

L’attacco, in verità, più che di natura economica sembra di carattere politico, soprattutto per le dichiarazioni contro l’Europa fatte dal governo italiano.

Quindi nonostante la turbolenza sui mercati, con lo spread che è salito, ognuno dei due contendenti, Bruxelles da una parte e Roma dall’altra, recitano la loro parte. All’interno dello scontro principale, si inseriscono altri protagonisti delle istituzioni italiane (Banca d’Italia per fare solo un esempio) o lo stesso Mario Draghi, presidente della Bce, forse spiazzato nei suoi tentativi tecnico-politici di mediazione.

Non mancano naturalmente le agenzie di rating, quelle che vengono dirette da “piccoli investitori” come BlackRock. Una drammatica comica della situazione del sistema finanziario mondiale.

In un clima come questo, dove ognuno spara e azzecca previsioni economiche “a rampazzo”, tanto per essere espliciti, si ha la sensazione che tutti cerchino di prepararsi ai rimproveri del futuro, ai famosi “l’avevamo detto”, oppure ai “ricordate quello che avete fatto voi”. Il classico decadimento a un dibattito da bar sport o tipico della politica attuale.

Più si avvicinano gli appuntamenti ufficiali, anche in sede europea di discussione della manovra, più il clima politico si va surriscaldando. In questi giorni sono arrivate una dopo l’altra una serie di notizie che danno il segno del disagio che attraversa il governo e la maggioranza.

Con la consueta accortezza e abilità, il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti ha detto senza mezzi termini che c’è stato il rischio di una crisi nei giorni passati, riparando a una dichiarazione riportata dal solito libro annuale di Bruno Vespa che parlava di un profondo dissidio (conosciuto da tutti) sul reddito di cittadinanza.

Ma ancora adesso, sebbene il duo Di Maio e Salvini continui a marciare in sintonia, i pentastellati sembrano abbastanza disuniti al loro interno per diverse decisioni del governo: infrastrutture, condoni vari e, ultima in ordine di tempo, la prescrizione sospesa dopo il primi grado di processo.

E’ il primo punto critico. Il secondo è rappresentato dal richiamo, via lettera, del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al governo perché si dialoghi con l’Unione Europea e si rispettino i parametri di bilancio. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rassicura il Quirinale, dichiarando che si dialoga e si rispettano i parametri. Ma nello stesso tempo, il ministro dell’Interno e vicepresidente Matteo Salvini convoca i suoi per una manifestazione, una autentica mobilitazione l’8 dicembre a Roma.

In una concitazione politica come questa c’è la possibilità di altre soluzioni di maggioranza e quindi di governo? C’è una possibilità, in base al richiamo del capo dello Stato, persino di un ricorso alla Corte costituzionale?

Si può fare congetture di vario tipo, si possono immaginare soluzioni e ipotesi di qualsiasi natura, ma il cambiamento di scenario (non quello del governo) sembra irrealizzabile. Impossibile creare una crisi di natura extraparlamentare, magari anche con un giudizio della Suprema Corte. Molto azzardato un ricorso anticipato alle elezioni per una grave frattura nella maggioranza. Elezioni rischiosissime, che potrebbero suggellare una sorta di “trionfo” leghista. Allo stesso tempo al limite dell’assurdo un cambio di maggioranza, dopo una crisi.

Forse si è costretti a restare così, condannati a vivere in un “ballo selvaggio” fino alla scadenza delle elezioni europee. Con un risultato che può chiudere un equivoco, oppure può rilanciare una scelta giusta finora mal onorata.