“E’ la morte del Fiscal compact”. Commenta così Mario Sechi, direttore di List, il discorso di Macron alla Francia. Si tratta ora di vedere se la resa di Macron avvantaggerà l’Italia, la cui partita con la Commissione europea sulla legge di bilancio è ancora aperta. “Quello che vediamo è inevitabile — dice Sechi —. Quando i principi contabili sono disallineati rispetto alla storia, è la seconda prima o poi a prevalere”.



Macron aumenterà il salario minimo. Misure che potrebbero costare un bel po’ di miliardi e far saltare le regole europee, che, ricordiamolo, non valgono per tutti.

Macron è costretto a spegnere una rivoluzione in corso. Si trova di fronte a un paradosso, che è quello che hanno tutti in Europa anche se non vogliono ammetterlo. Infrastrutture, welfare, misure per contenere la diseguaglianza: ogni governo, Germania compresa, non riesce a fare quello che vorrebbe.



I pilastri di ogni politica keynesiana.

Siamo di fronte alla contraddizione più macroscopica dell’Unione Europea, che per rispettare l’equilibrio di bilancio ha cancellato la politica. Ma quando i principi contabili sono disallineati rispetto alla storia, chi vince? La risposta era tutta nello sguardo vitreo di Macron, nella sua maschera, nella sua retromarcia.

A metà pomeriggio di ieri Salvini ha fatto un tweet inequivocabile: “vogliamo cambiare l’Europa dall’interno, non abbiamo nessuna idea di Brexit all’italiana in testa”. Si è spostato al centro.

E’ una necessità. Il capo della Lega non può decidere tutto di se stesso. Con il consenso che ha oggi dev’essere più inclusivo. Non tutti quelli che votano Salvini vogliono buttar giù il muro di Bruxelles.



E Salvini deve adattarsi, se non vuole perdere i voti moderati.

Per forza. Non votano per lui solo le partite Iva di Cremona, ma anche gli impiegati della Calabria.

Non ancora gli insegnanti, forse.

Ma arriveranno, anzi secondo me hanno già cominciato. E’ un fenomeno che Salvini non può guidare fino in fondo come avrebbe voluto all’inizio. E infatti di Salvini ne stiamo vedendo più d’uno. C’era il Salvini della campagna elettorale, diverso da quello post-voto. Ma anche quest’ultimo si divide in due momenti: il periodo tutto law and order, fino a ottobre e poi quello che vediamo adesso, un Salvini più responsabile, plurale.

La riunione di domenica con le associazioni datoriali?

Gli imprenditori normalmente vanno dal ministro dell’Economia o da quello del Lavoro, non da quello dell’Interno. Ma così non è stato, con buona pace di Conte e di Di Maio. Il dato politico è che le associazioni hanno dato a Salvini lo scettro di futuro premier.

Futuro quanto?

Deve ancora fare molta strada. Domenica per esempio il suo discorso in piazza del Popolo non era di grande caratura, perché non si può cominciare da Giovanni Paolo II e arrivare a Pamela Anderson. E nemmeno citare il Papa, a maggior ragione quel Papa, à la carte. Se lo fai tuo, poi devi ricordarti anche degli ultimi della Terra.

Intanto Salvini è vincolato alla coabitazione forzata con Di Maio. Il patto ha vita lunga o è destinato a finire in breve tempo?

Fin alle europee non succederà nulla. Certo bisogna vedere come va a finire con la Ue. Lo spread è sotto controllo, I mercati stanno aspettando di capire se componiamo questo dissidio.

I Cinquestelle esploderanno o no?

Nelle loro file c’è una buona schiera di persone unfit, inadatte al governo. Uno è il ministro dei Trasporti, l’altro è il ministro del Lavoro. Lo dice uno che non è sospettabile di pregiudizio: ho sostenuto la necessità di fare questo governo perché era l’unico possibile e perché bisognava rispettare il voto. Però il decreto dignità voluto da Di Maio è un disastro, mentre Toninelli dovrebbe abbandonare i social e mettersi a studiare.

M5s resisterà al vedere il calo di consensi?

Ma gli statisti non guardano i sondaggi. I 5 Stelle hanno tre sfide: la prima è trasformarsi in vera forza di governo, la seconda è allevare un gruppo dirigente che non hanno, la terza è accettare di governare con chi è più bravo di loro, la pensa diversamente da loro ma ora guida il paese insieme a loro. Se fanno questo, perdono qualche voto ma diventano una forza affidabile.

Se non lo fanno?

Allora il governo si sfascia. Se si sfascia, Salvini vince le elezioni e torna al governo.

Sempre che Mattarella gliele dia, le elezioni.

Io penso di sì. Mattarella ha compiuto degli errori durante la crisi, ma alla fine, davanti a uno scenario di inconciliabilità tra le due maggiori forze politiche, non credo che si inventerebbe soluzioni destinate a non avere i voti in Parlamento. Non bisogna poi dimenticarsi che aleggia su tutto l’incognita della recessione. E se arriva, intestarsela è una cosa molto complicata.

(Federico Ferraù)