Venerdì era stato il giorno di Giancarlo Giorgetti, ieri quello della rivincita di Luigi Di Maio. Il sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio aveva svuotato l’efficacia del reddito di cittadinanza arrivando a evocare lo spettro delle urne: “Il nostro impegno dura finché sarà possibile realizzare il contratto di governo, quando sarà impossibile la parola deve tornare al popolo”. Proprio sul contratto il vicepremier grillino ha replicato a muso duro: “Io ho firmato con Salvini, non con Giorgetti, e nel contratto ci sono il reddito di cittadinanza, le pensioni minime più alte, gli aiuti ai lavoratori”. Salvini ha confermato.
Lega zittita? Tutt’altro. Il partito ha presentato un emendamento alla manovra che sopprime l’ecotassa sui motori inquinanti, fortemente voluta dal M5s, e riduce contestualmente anche i bonus per l’acquisto di auto elettriche. “Siamo contrari a qualsiasi nuova tassa, sulle auto come su altro”, dice il sottosegretario leghista all’Economia Massimo Garavaglia. Ma un altro sottosegretario, Michele Dell’Orco (Trasporti, grillino), non ci sta: “Il bonus è imprescindibile e deve rimanere, mentre il malus non è una tassa”.
Ormai tra i due alleati di governo la guerriglia è quotidiana. E non si tratta di schermaglie ma di scelte di fondo. Salvini si sta accorgendo di avere forse sottovalutato il ruolo di Giuseppe Conte: è vero che il presidente del Consiglio ascolta sempre i due vice, li convoca, accetta i loro inviti a costo di saltare appuntamenti istituzionali; poi però, inevitabilmente, va lui a trattare in Europa, a fissare limiti al deficit, a prendere impegni che diventano vincoli per Di Maio e Salvini. Messo alle strette, Conte a Bruxelles sembra aver privilegiato il reddito di cittadinanza alla cancellazione della legge Fornero. A ciò si aggiunge l’accelerazione grillina sui tagli alle pensioni d’oro, terreno molto delicato in quanto tra i colpiti dalla scure ricadono elettori del centrodestra, non dei 5 Stelle.
Tra Giorgetti e Salvini c’è stata un’inversione di ruoli: fino a qualche mese fa era il titolare del Viminale a fare il poliziotto cattivo e il sottosegretario a ricucire; ora Giorgetti strappa e Salvini media. D’altra parte, anche la Lega non è più quella del 4 marzo che ha firmato il contratto di governo: quella aveva il 18 per cento mentre oggi supera largamente il 30; allora la frenesia del cambiamento aveva fatto digerire le asperità dell’accordo con i grillini, ma adesso, davanti ai numeri del reddito di cittadinanza, alle resistenze sulle grandi opere, al disprezzo per il mondo imprenditoriale e alle pesanti perdite sui risparmi in titoli provocate dalla tracotanza del governo, il malcontento del Nord fa la voce grossa ed è Giorgetti a farsene interprete.
Qualcosa si starebbe muovendo in Parlamento, truppe di scontenti grillini sarebbero in movimento a sostegno di un ipotetico governo alternativo che comprenderebbe anche Forza Italia e Fratelli d’Italia, auspicato da Silvio Berlusconi. Salvini ha fatto sapere che non se ne parla: l’uomo è allergico alle congiure di palazzo. E non è un caso che Giorgetti evochi le urne. Lo spettro del voto anticipato a ridosso delle europee serve anche a tacitare la parte di elettori leghisti più recalcitranti all’assistenzialismo grillino. Ora c’è da guardare come Conte chiuderà la trattativa con l’Europa entro il 19 dicembre, se riuscirà a evitare la procedura d’infrazione e quale dei due, tra Lega e M5s, uscirà meno malconcio nella riscrittura della legge di bilancio. Se i tagli non saranno perfettamente bilanciati, il governo sarà davvero in pericolo.